Fava, il giorno del ricordo. “La mafia comanda ancora a Catania?”

CATANIA – Quella che era via dello Stadio da trentuno anni è diventata, ogni 5 gennaio, un punto d’incontro per la Catania civile e impegnata che si stringe attorno alla memoria del giornalista e intellettuale Pippo Fava barbaramente ucciso per mano mafiosa.

Ci sono, ormai canuti, quelli che erano i “carusi” di Fava ossia quei giovani che lo seguirono nelle sue avventure editoriali formandosi sotto la sua direzione. Ci sono le autorità cittadine, come gli assessori Girlando e D’Agata (nessuna traccia di Bianco), c’è il presidente della commissione antimafia nazionale Rosy Bindi e il procuratore di Catania Giovanni Salvi.

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Ma sopratutto vi sono diversi ragazzi che hanno ereditato la tensione morale di Pippo Fava. Un uomo amato anche da chi non lo leggeva spesso: “Ricordo che dopo la sua morte giocò il Catania – spiega emozionato Riccardo Orioles, giornalista e amico di Fava – e nonostante la tifoseria fosse una delle più scalmanate d’Italia lo stadio, al sentire il nome di Pippo si ammutolì e rispettò un profondo silenzio carico di dolore e commozione”.

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Rosy Bindi, che lavora a stretto contatto con Claudio Fava – vicepresidente della commissione Antimafia – ha voluto fortemente essere presente a Catania per ricordare una “persona coraggiosa che ha capito prima di altri che la mafia teme la verità. Per questo ha pagato con la vita e sul suo esempio occorre sempre ricercare e dire la verità”.

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A partire dal tardo pomeriggio si è svolta al centro Zo un dibattito, moderato dal giornalista Antonio Condorelli, dal titolo “La mafia comanda (ancora) a Catania?” alla presenza del cronista de L’Espresso minacciato dalla criminalità organizzata Lirio Abbate, della stessa Rosy Bindi e del procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita.

Un’occasione per partire dal ricordo delle inchieste di Fava e dei suoi ragazzi e analizzare la situazione attuale della mafia etnea. I recenti fatti romani di “Mafia Capitale” hanno interessato anche Catania e il sistema dell’accoglienza dei migranti e su questo la Bindi si è soffermata: “La vicenda romana ha fatto emergere chiaramente i legami con Catania. Questi migranti partono dal Cara di Mineo e c’è il sospetto di una spartizione da parte delle cooperative di umanità, di soldi e affari”.

Sebastiano Ardita ha sottolineato che “la mafia etnea è stata una delle più devastanti per capacità di incancrenire il tessuto sociale” e ha raccontato come cosa nostra etnea volesse colpire anche Claudio Fava “con un piano nei primi anni ’90 prima della stagione delle stragi rivelato da un attendibile collaboratore di giustizia”.

Quello che resta è la memoria del cronista attento, dell’intellettuale sagace e del narratore inarrivabile. “Io potevo fare delle bellissime inchieste locali – ha concluso Riccardo Orioles – ma se scriveva un pezzo Fava sullo stesso argomento e con le stesse notizie quell’articolo sarebbe rimasto nella memoria della gente per lungo tempo. Aveva una capacità unica per come scriveva e spiegava i fatti”.