CATANIA – Ogni bambino ha diritto ad una famiglia, ad essere amato e protetto: per questa ragione, nella giornata mondiale dei diritti del bambino e dell’adolescente, nel Palazzo della Cultura di Catania, la Comunità Giovanni XXIII si è riunita per comunicare le tante esperienze di vita che si nascondono dietro l’affido.
Un incontro “esperenziale“ per confrontarsi sulle esperienze vissute e far capire l’importanza dell’affido.
Tante storie, come quella di Marta D’Antonio, referente della Comunità Giovanni XXIII della zona Sud, Sicilia e Calabria: una giovanissima mamma che oltre i suoi tre figli e uno in arrivo, ha deciso comunque di aprire le porte della sua casa e del suo cuore anche ad altri sei bambini.
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Accogliere un bambino in affido, che spesso proviene da situazioni limite di abusi o abbandono, di povertà e di incapacità genitoriale, non è facile: significa “insegnare” al bambino cosa significa vivere in una famiglia, avere dei punti fermi che amano incondizionatamente.
“Affidamento significa essere di sostegno ad un bambino in un periodo determinato della propria vita e della propria famiglia. Possono essere affidatarie anche le persone singole, proprio perché è una risposta per un tempo determinato – ci spiega Marta – alle esigenze del bambino. Significa dare la possibilità ad un minore, che dev’essere allontanato per svariate ragioni dalla propria famiglia, di poter continuare a vivere in un nucleo familiare, sia che il suo progetto sia ritornare a casa, come tutti ci auguriamo sempre, sia che invece debba transitare verso una famiglia adottiva”.
Nella pratica, però, bisogna sempre aver presente che per un bambino uscire dalla sua famiglia naturale è sempre un episodio traumatico anche se è disastrata, violenta, non accudente: quella è la sua famiglia.
“Per un bambino – continua Marta – è sempre un trauma perché quelli sono i legami, i suoi affetti primordiali. Per questo motivo le famiglie che si avvicinano a queste esperienze e che desiderano aprire la propria famiglia, per dare aiuto a questi bambini fanno un percorso attraverso il servizio sociale del proprio comune“.
L’iter burocratico per l’affido prevede che dopo la presentazione al servizio sociale del comune segue una valutazione della persona e della famiglia, sia in senso economico e di tempo, sia i valori morali. Alla valutazione segue una sorta di abbinamento tra il bambino e la famiglia: a seconda delle esigenze del minore e delle risposte che può dare il nucleo affidatario. A questo punto arriva il passaggio: può essere traumatico, come nel caso del prelievo coatto, oppure dolce e progressivo, come sempre ci sia augura.
Le famiglie d’origine possono restare in contatto o meno, a seconda della decisione del magistrato, e il nucleo affidatario può farsi da tramite di valori per insegnare ad essere famiglia in modo da riaccogliere il bambino e dare così un lieto fine alla vicenda. Spesso però non è così. È il caso di bambini maltrattati, vittime di violenze d’ogni tipo che non potranno mai ritornare nella famiglia d’origine e che verranno adottati da genitori pronti ad accoglierli; la famiglia affidataria, anche in questo caso, si pone come tramite per condurre il bambino verso una nuova mamma e un nuovo papà che lo ameranno per sempre.
“La famiglia affidataria – conclude Marta –dev’essere pronta ad accogliere il dolore del bambino, la sua storia, dev’essere pronta ad accompagnarlo, amandolo immensamente ma sapendo che quel bambino non gli appartiene; è un amore gratuito, cioè un amore che viene dato senza aspettarsi nulla in cambio“.