Etna, il magma “si ferma”: un nuovo indicatore Ingv aiuta a prevedere le eruzioni laterali

Etna, il magma “si ferma”: un nuovo indicatore Ingv aiuta a prevedere le eruzioni laterali

CATANIA – Un nuovo indicatore scientifico potrebbe migliorare in modo significativo la previsione delle eruzioni laterali dell’Etna, tra le più pericolose per i centri abitati.

A metterlo a punto è uno studio dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), che individua nei terremoti di tipo compressivo un segnale chiave per riconoscere, quasi in tempo reale, l’arresto della propagazione del magma nel sottosuolo.

Il rischio delle intrusioni laterali

Le cosiddette intrusioni laterali di magma, che si muovono lungo fratture della crosta terrestre alimentando possibili eruzioni a bassa quota, rappresentano uno dei principali fattori di rischio per infrastrutture e abitazioni attorno al vulcano.

Comprendere se e quando queste intrusioni si fermano è cruciale per le decisioni di protezione civile.

Il segnale sismico che cambia tutto

Secondo i ricercatori, la comparsa di meccanismi focali inversi, cioè terremoti generati da compressione della crosta, indica che il magma sta incontrando una resistenza tale da rallentare o arrestare la sua avanzata.

Prevedere in tempo reale l’evoluzione di un’intrusione laterale è una delle sfide più complesse della vulcanologia operativa”, spiega Alessandro Bonaccorso, dirigente di ricerca dell’Osservatorio Etneo dell’Ingv di Catania.

Abbiamo analizzato il bilanciamento energetico tra l’apertura del dicco e l’energia rilasciata dalla sismicità”.

Quando la compressione indica sicurezza

Normalmente, la risalita del magma genera stress estensionale e terremoti di tipo diretto. La presenza di eventi compressivi è invece rara, ma significativa.

Questi segnali indicano che la spinta del magma incontra una resistenza crescente”, sottolinea Carla Musumeci, ricercatrice Ingv, “tale da rallentare e potenzialmente bloccare la propagazione”.

Il precedente del 2002

Un esempio emblematico risale all’eruzione del 2002, quando l’Osservatorio Etneo interpretò correttamente questi segnali come indice di un arresto imminente del dicco, scongiurando scenari peggiori per le aree densamente popolate.

Un’ipotesi che allora sembrava audace, ma che i fatti confermarono.

Un supporto concreto alle decisioni operative

Secondo lo studio, questi segnali sismici sono legati anche ai processi di raffreddamento e solidificazione del magma, che favoriscono condizioni compressive nella parte finale del dicco.

I meccanismi focali inversi non sono un’anomalia”, conclude Elisabetta Giampiccolo, ricercatrice Ingv, “ma un segnale chiave per riconoscere il potenziale arresto di un dicco in tempo quasi reale, offrendo un supporto concreto nella gestione delle crisi eruttive”.