Etna e gas Radon, Marco Neri (Ingv): “Elemento pericoloso ma per ammalarsi ci vogliono molti anni”

Etna e gas Radon, Marco Neri (Ingv): “Elemento pericoloso ma per ammalarsi ci vogliono molti anni”

CATANIA – Risale dalle faglie dell’Etna ed emerge dai punti di frattura che si generano dai terremoti e dai movimenti del sottosuolo. Parliamo del Radon, un gas radioattivo di origine naturale che può rappresentare un pericolo per la salute umana secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

A documentare recentemente la presenza di questo elemento chimico nel territorio catanese è uno studio condotto dall’Ingv e pubblicato su Frontiers in Public Health.

Noi studiamo il Radon sull’Etna dal 2005, abbiamo quindi un buon background di dati“, racconta a NewSicilia.it il ricercatore dell’Ingv Marco Neri. “Tuttavia, fino a circa 3 anni fa, lo abbiamo analizzato soltanto attraverso le misure che vengono fatte nel suolo perché il nostro obiettivo era quello di verificare questo segnale come possibile tracciante dell’attività eruttiva e sismica“.

Avendo riscontrato che questo gas da suoli emerge abbastanza diffusamente dalla zona etnea – prosegue Neri – ci siamo chiesti se per caso anche nelle zone prossime alle zone abitate questo Radon potesse essere veicolato dal terreno verso le case. Abbiamo installato questi sensori in posizioni particolari, dovevano essere poche ma rappresentative di una casistica minimale. Sono soltanto 7 le abitazioni monitorate con 12 sensori e in alcune case ne abbiamo messi più di uno“.

La posizione è stata determinata dalla necessità di porre questi strumenti dai piani di faglia e anche a quote variabili, poiché la temperatura media annuale influisce sul Radon rilevato. Adesso siamo riusciti a tirare le prime somme, si tratta di dati molto preliminari che ci invogliano ad approfondire questa tematica. Non sono risultati che devono allarmare, ma rappresentano comunque un campanellino. Il Radon che si accumula nelle abitazioni spesso supera la soglia minima indicata dall’Oms di prima attenzione“.

Ma cosa significa tutto questo? “Si tratta di una probabilità che mano a mano cresce in funzione della quantità di Radon che c’è dentro. Sostanzialmente, un modo per risolvere il problema è quello di arieggiare casa. Essendo un gas molto pesante e otto volte più denso dell’aria, il Radon si accumula negli ambienti chiusi. Il ricambio di aria lo diluisce in concentrazioni basse. In caso di nuove costruzioni in una zona dove il Radon emerge in quantità elevata, è possibile realizzare delle infrastrutture di costo molto basso che fungano da barriera“.

Il Radon è un elemento di pericolosità subdolo – specifica Marco Neri – perché non si percepisce con i sensi umani, è necessario uno strumento per localizzarlo. Tuttavia, per ammalarsi di tumore ai polmoni come dice l’Oms per elevate concentrazioni di Radon bisogna essere esposti per molti anni consecutivamente. Respirarlo per mezza giornata sull’Etna non fa certamente ammalare, è più probabile essere investiti da un’automobile“.

È importante, comunque, che la gente sappia della sua esistenza. Con questo studio abbiamo dimostrato che il problema esiste. Per dimostrarne la sua vastità invece ce lo diranno le prossime ricerche che stiamo effettuando già adesso. Stiamo estendendo il campione di dati a un numero più significativo. Quello che però già abbiamo visto è che esiste una relazione diretta tra la posizione delle abitazioni e quella delle faglie“.

Le tante case costruite in prossimità dei piani di faglia sono soggette sia agli scuotimenti sismici sia all’emissione di gas. Il Radon viene veicolato in maniera più efficace dalle fratture, già questo dà delle indicazioni per chi deve fare una pianificazione territoriale e su che tipo di suggerimento dare nel momento in cui si decide di costruire una casa. Ripararsi dal Radon – conclude il ricercatore – costa molto meno di ripararsi dal terremoto“.

Immagine di repertorio