“Eravamo fortunati, le nostre attività andavano bene”: i fratelli Diolosà raccontano la crisi economica da Covid-19

CATANIA Tre giovani imprenditori, tre fratelli, uniti nella vita, così come nel lavoro, tre soci di un’azienda del Catanese catapultati in una realtà di “madornali disagi”, i quali, senza preavviso alcuno, si trovano a vivere la drammatica crisi economica, che l’emergenza sanitaria Covid-19 ha causato con la chiusura, ormai da quasi due mesi, di ogni esercizio di non “prima necessità”, nel rispetto della normativa ministeriale per il contenimento del virus.

Antonio, Giuseppe e Alessandro Diolosà, di Biancavilla, (CT) sono titolari della Arabian Song s.r.l., con la quale gestiscono un chiosco bar nel centro di Catania, in via Cesare Vivante, un sala parrucchiere e una panineria-kebabberia, siti nella loro cittadina di residenza.

Eravamo fortunati ad avere tre attività che andavano molto bene”, ci racconta con grande rammarico Antonio, durante la conversazione ai nostri microfoni. Ma il settore economico, per via del Coronavirus, si trova ormai totalmente al collasso, e, riprendere respiro dopo lo stop forzato di queste settimane, nell’ambito lavorativo – come sicuramente in quello sociale – è impresa molto ardua.

Dipendenti in cassa integrazione, pagamenti arretrati di affitti dei locali, spese di energia elettrica, tasse insolute: questa la fotografia dalla tinta grigio scuro che immortala la situazione contingente delle piccole imprese. “Non abbiamo potuto godere neanche del bonus di 600 euro, avendo la partita iva generale, e non di ogni singola attivitàreclama Antonio Diolosà – e sarebbe anche impensabile beneficiare del prestito dei 25mila euro dello Stato (decreto imprese), perché quest’ultimo, in quel caso, obbliga a non licenziare nessuno degli operai, cosa impossibile da attuare alla riapertura, perché non si riuscirebbe, almeno per un po’ di mesi, a coprire il totale delle spese”.

Con il decreto ministeriale del 10 aprile, gli esercizi commerciali al dettaglio, che vendono prodotti alimentari non di prima necessità, hanno avuto la possibilità, restando chiusi, di proseguire le vendite, effettuando consegne a domicilio. “Vorrei capire, come si può lavorare solo con i domicili? – si domanda il giovane imprenditore – Nel kebab abbiamo provato tre giorni: 20 ordini in un giorno, non si coprono neanche i costi”.

Ma dove è stato l’errore? “Il Governo, a mio avviso, non doveva imporre alla categoria bar e ristorazione la chiusura afferma Antonio . Molti panifici, rimasti aperti perché produttori di beni di ‘prima necessità’, non hanno venduto in questo periodo solo pane, ma anche tavola calda, colazione e dolci, sostituendosi ai bar. Bisognava che questi ultimi potessero continuare a lavorare sin dall’inizio, ovviamente con le dovute precauzioni e attenzioni igienico-sanitarie che, tra l’altro, io avevo già iniziato a prendere spontaneamente, usando mascherine, guanti e disinfettanti”.

Iniziando dal 4 maggio la fase 2, come il premier Conte ha dichiarato il 26 aprile scorso, annunciando il nuovo decreto, per bar e ristoranti sarà consentito l’asporto, con il divieto di consumare bevande e alimenti all’esterno dei locali, per non creare così eventuali assembramenti: “Ma quando vai al bar, il caffè lo vuoi consumare sul posto e non portartelo via nel bicchierino di plastica; e poi, la colazione si fa ormai a casa, perché le famiglie, avendo poca liquidità, se hanno a disposizione 10 euro, fanno la spesa”. “O si apre del tutto, o si rimane chiusi”, conclude Antonio, in attesa della riapertura ufficiale prevista dal Governo per il prossimo 1° giugno.



Giuseppe Diolosà, che gestisce la sala parrucchiere a Biancavilla, si pone un interrogativo che gli lascia l’amaro in bocca: “Perché le persone possono prendere un autobus, mentre un lavoro come il mio non può essere esercitato? Eppure in un salone di bellezza la sicurezza è maggiore rispetto a un mezzo pubblico!”.

L’esperienza e la capacità di Giuseppe è tanta, comprovata dai vari trofei vinti personalmente in campionati nazionali e mondiali, come l’ultimo in data, a Parigi, nel settembre dello scorso anno. “Il nostro è un tipo di lavoro che già normalmente si svolge per appuntamento, servendo uomini e donne e avendo anche una sala per l’estetica afferma -, soprattutto con le dovute accortezze igieniche”.

Mi chiedo, allora, perché in televisione il mio settore può operare: cosa c’è di diverso nei personaggi pubblici dai comuni cittadini? – continua Giuseppe – Quello degli artigiani è un settore che da sempre muove l’economia di un Paese; è un lavoro che ancora tiene banco e dovrebbe essere, quindi, agevolato e incrementato”.

Ci duole il cuore, ma, alla riapertura, che dovrebbe essere il primo giugno, abbiamo deciso, per forza di cose, di dimezzare il numero del personale dipendente, che da 24 passerà a circa 11: la legge impone il distanziamento sociale, e il titolare deve garantire la sicurezza sanitaria nel luogo di lavoro. Siamo stati sempre attorniati da persone fantastiche, come di famiglia, ma la situazione ci costringe a prendere questi provvedimenti non voluti”, conclude il famoso parrucchiere.

Tanti sacrifici, tanta abnegazione e voglia di lavorare in questi anni: il chiosco bar Diolosà di Catania è andato sempre “forte” dalla sua inaugurazione, nel 2015, come la sala parrucchiere e la kebabberia, nel 2008: “Bisogna ora rimboccarci le maniche”.

Fonte immagini Arabian Song s.r.l.