CATANIA – Con gli assegni emessi dalla Banca d’Italia per conto del Ministero della Salute si conclude l’odissea, durata 9 anni, patita dai familiari di un uomo, residente a Catania, deceduto a causa di trasfusioni infette.
Il risarcimento ammonta a un milione e 200mila euro.
Commenta l’avvocato Pietro Frisani: “Si tratta di una cifra importante e non comune per gli importi riconosciuti in questi casi agli eredi superstiti, che indennizza la tragedia di una famiglia che ha perso ingiustamente il proprio caro”.
Il caso
Nel 1988, in seguito al ricovero, per un intervento chirurgico, in una struttura sanitaria catanese, la vittima aveva avuto necessità di sangue e plasma.
Solo nel 1997 l’uomo aveva casualmente scoperto la positività al virus dell’epatite C. Né lui né i familiari erano stati in grado di collegare questo fatto alle trasfusioni di 9 anni prima e che provocheranno la cirrosi epatica e il tumore che porterà alla sua scomparsa nel 2012.
Nel 2014 vedova e figli, con il supporto dello Studio Legale Frisani di Firenze, avevano deciso di promuovere giudizio avanti al Tribunale di Catania.
Solo nel 2022 la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la responsabilità del Ministero della Salute, per omessa attività normativa e carenza di vigilanza, condannandolo a risarcire gli eredi.
Lo stesso Consulente Tecnico del Tribunale aveva confermato la tesi, sostenuta dallo staff medico dello Studio Legale Frisani, che plasma e sangue trasfusi erano stati il veicolo dell’infezione, poi rivelatasi letale.
La Corte d’Appello di Catania ha ribadito, nel 2023, il giudizio che ha portato, nei giorni scorsi, al ricevimento degli assegni consegnati agli eredi dagli avvocati Pietro Frisani e Chiara del Buono.
Il commento dell’avvocato Pietro Frisani
“Non mi stancherò mai di ripetere in qualsiasi sede di come non sia più procrastinabile l’obbligatorietà di un modello di informazione e tutela dei fruitori dei servizi sanitari analogo a quello previsto per i consumatori generalmente intesi, come nel caso della carta dei viaggiatori.
Le aziende sanitarie dovrebbero essere obbligate ad allargare la base di informazione non solo al consenso sulla prestazione sanitaria da eseguirsi, ma anche sui diritti successivi alla prestazione stessa che invece vengono ancora lasciati all’iniziativa individuale“.