Ecologia e acquisti online: ecco le ragioni che hanno frenato il mercato della moda veloce

Ecologia e acquisti online: ecco le ragioni che hanno frenato il mercato della moda veloce

CATANIA – Aria di crisi si insinua nei brand del fast fashion, come H&M e Topshop, che da oltre 15 anni hanno cambiato il nostro modo di vestire e acquistare capi di abbigliamento. Tra le ragioni di tale crisi troviamo acquisti on-line e sostenibilità ecologica.

Ultimo in ordine di tempo è stato il fallimento della nota catena di abbigliamento Forever 21, nata negli Stati Uniti che, per oltre 35 anni, ha vantato fatturati invidiabili anche da marchi di moda di medio-alto livello. Il suo iniziale successo è dovuto alla capacità del marchio di saper riproporre i “must have” del momento a basso costo.

Ma negli  anni è nata una vera e propria filosofia dello shopping e, il non sapersi rimodernare, il non considerare di prendere posizione su temi come l’ecologia e l’accusa di non rispettare il diritto dei lavoratori, sottopagando i dipendenti, ha fatto perdere la fiducia negli acquirenti, soprattutto i più giovani, cadendo così in un circolo vizioso.

Ma non è la sola ad essere in crisi, secondo il report di Pambianco, la cosiddetta “moda veloce” si è frenata, perdendo punti in posizione economica. La retromarcia del settore è iniziata già nel 2016 e negli ultimi anni si è aggravata. OVS ha perso l’80% del suo valore in Borsa, H&M e Zara sono scesi del 20%.

La flessione economica è causata da diversi fattori, uno è quello relativo allo shopping on-line o “effetto Amazon”. Infatti, la comodità e la praticità di poter acquistare un capo con un click dal proprio divano di casa, ha sostituito l’esperienza di acquistare in un negozio fisico. Inoltre, attraverso i social è tutto diventato più semplice, anche osservare vestiti come se li guardassimo da una vetrina.

Ma non solo, un altro importante fattore è la tendenza “Marie Kondo“. Per molti anni ci siamo tolti lo sfizio di comprare scarpe e vestiti simili a quelli delle grandi firme a costi molto ridotti sino a quando, poi, non ci si è posta la domanda sul come fosse possibile produrre abiti e rivederli a prezzi stracciati (come 3 euro). Il porsi questi quesiti ha portato gli acquirenti a informarsi sulle condizioni di lavoro, sulla dannosità dei materiali e sull’impatto ambientali. Le persone, così, hanno deciso di comprare meno e meglio, premiando principalmente, le aziende che garantiscono la trasparenza della filiera produttiva.