CATANIA – “La politica contribuisce a plasmare il contesto in cui viviamo. Se il ‘migliore’ si sente legittimato a stringere la mano a Orban – che ha messo al bando il Pride – o ad incontrare Milei – che sta demolendo i diritti delle persone LGBTQ+ e delle donne – allora è naturale che qualcuno si senta autorizzato a colpire. Per questo sappiamo di dover fare più di quanto abbiamo fatto finora”.
Incontro Alessandro Motta, presidente e tra i fondatori di Open, a fine maggio, ben due mesi prima del Pride. Ma le riflessioni che condividiamo restano valide anche oggi, a poche ore dalla manifestazione che l’associazione sta organizzando per il 14° anno consecutivo a Catania. Le proponiamo di seguito per capire se Catania è oggi una città sicura per le persone LGBTQ+.
“Sono un attivista da oltre vent’anni. Ho iniziato a Catania, dove mi sono trasferito nel 2003. Qualche anno dopo ho cominciato a militare in una storica realtà locale, Open Mind. All’inizio, lo ammetto, sapevo poco della causa. Avevo 23 anni. Ma presto è diventato chiaro che essere omosessuale, per me, significava assumermi una responsabilità politica“.
Un sistema da ribaltare
Per Motta, l’attivismo è una risposta al modello dominante che esclude chi non rientra negli schemi prestabiliti: “Viviamo in un sistema cis-etero-patriarcale e capitalista, che ignora i nostri corpi e le nostre soggettività. Le discriminazioni che subiamo per orientamento sessuale, identità di genere o autodeterminazione derivano da questo modello imposto sin dalla nascita. L’obiettivo – per quanto utopico – è ribaltarlo e attraverso manifestazioni semplici e/o più strutturate: dalla presentazione di un libro a un sit-in, ogni gesto è politico. Ma il Pride è lo strumento più forte e visibile. Il primo che ho organizzato è stato nel 2007. Quello del 2024 sarà il quattordicesimo”.
Catania tra accoglienza e abbrutimento
Alessandro Motta vive a Catania da più di vent’anni e ha notato alcuni cambiamenti. “In tutta sincerità, al netto dei singoli episodi di omofobia e transfobia che tutti noi abbiamo vissuto, ho sempre percepito Catania come una città quantomeno indifferente. Lo dico in senso neutro: l’indifferenza, in certi casi, è meglio dell’ostilità. Catania sa essere aperta, soprattutto nei quartieri popolari. Un anno abbiamo girato lo spot del Pride a Ognina e i pescatori ci hanno offerto le loro barche per far salire gay e drag queen“.
“Catania passa da un estremo all’altro, dall’accoglienza gioiosa alla violenza. Negli anni i casi gravi non sono stati tanti, ma oggi sento che l’aria è cambiata è diversa. Stiamo subendo un attacco feroce, dall’alto verso il basso. Dai vertici della politica – dal presidente degli Stati Uniti alla nostra presidente del Consiglio – arrivano segnali che sembrano autorizzare chi è alla base della società ad agire contro di noi, in nome della lotta al politically correct o della demonizzazione della cultura woke“.
“Il bullo, lo ‘sperto’, il branco ci sono sempre stati. Ma oggi si sentono legittimati. E sì, Catania in questo ultimo anno si è abbrutita. È più violenta, più volgare. Ma noi non arretriamo. Se qualcosa cambierà nell’azione della nostra associazione, sarà per rafforzare la nostra presenza nei quartieri e aumentare le occasioni di incontro“.
L’aggressione ad Anna Chisari
A fine maggio, nei pressi di Piazza Alcalà, Anna Chisari – giovane attivista trans di Open – è stata aggredita da un uomo mentre andava a svolgere il suo turno di Servizio Civile. Si era fermata per parlare con un ragazzo a cui stava fornendo informazioni sull’associazione e sull’attività per la comunità Queer.
“Dopo la mia transizione – racconta Anna – ho notato un cambiamento nei tipi di insulti. Da ‘frocio’ si è passati a offese volgari, molestie verbali, catcalling. La violenza si è spostata dal piano dell’orientamento sessuale a quello della femminilità, come minacce, allusioni allo stupro. Ho potuto notare che questo è quel che accade a molte donne trans. Vivono la stessa violenza che gli uomini riservano alle donne cisgender”.
Anche per carattere, Anna non si è mai tirata indietro. “Ho un carattere che non mi permette di restare in silenzio. A 14 anni sono entrata in un collettivo studentesco e nella mia scuola, il Boggiolera, abbiamo introdotto la carriera alias. Siamo stati i primi a Catania e i secondi in Italia dopo Bologna. Per me essere una ragazza trans ha segnato ogni aspetto della mia vita. E l’attivismo è qualcosa che esiste e deve continuare ad esistere”.
Sulle reazioni che ha suscitato la notizia della sua aggressione, la giovane catanese ha detto: “Le associazioni che gravitano attorno Open ci sono state vicine. La polizia, invece, ci ha sconsigliato di denunciare. La risposta probabilmente l’abbiamo data noi, facendo emergere il disagio creato da quell’uomo in un contesto dove vive già un’altra ragazza trans, anche lei bersaglio di misgendering e aggressioni verbali”.
Nelle 48 ore precedenti al Pride un uomo ha aggredito verbalmente Egle Doria, componente del Comitato Catania Pride e del direttivo di Associazione Famiglia Arcobaleno, all’interno del Pride Village di Via Crociferi.