Cyberbullismo: perché la legge rischia di limitare la libertà di espressione

Cyberbullismo: perché la legge rischia di limitare la libertà di espressione

CATANIA – La storia di Tiziana Cantone, morta suicida a causa della gogna mediatica subita dopo la diffusione di alcuni suoi video privati, ha riacceso il dibattito sulla necessità di una valida legge contro il fenomeno dilagante del cyberbullismo.

Episodi come quello che ha coinvolto Tiziana non sono isolati e interessano sempre più spesso anche minorenni. Prima di lei, nel gennaio 2013, una quattordicenne di Novara, Carolina Picchio, si era tolta la vita in seguito all’umiliazione e agli insulti subiti sul web per un video pubblicato sui social network nel quale subiva una violenza sessuale di gruppo. È lei la prima vittima di cyberbullismo riconosciuta in Italia.

La legge approvata dalla Camera dei deputati il 20 settembre, “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”,  adesso al vaglio del Senato, non sarà però quello strumento utile ad arginare il fenomeno che tutti speravano.

Il testo di legge riguarda potenzialmente tutte le comunicazioni digitali e rischia, seppur involontariamente, di depotenziare e minare la libertà di espressione del Paese perché, dato il carattere soggettivo dei criteri presenti in esso, potrebbe rivelarsi un inaspettato strumento di repressione della libertà di opinione, consentendo un’incontrollata censura su internet.

La legge prevede che “il gestore di un sito” (di un social media, di un servizio di messaggistica istantanea o di ogni rete di comunicazione elettronica, quindi chi operativamente ospita i contenuti e non direttamente chi li produce), elimini su richiesta di un reclamante contenuti che possano provocare “ansia anche quando non sia accertato un reato di stalking, ingiuria o diffamazione.

Come spiegato nell’art. 2: “Ai fini della presente legge, con il termine ‘bullismo’ si intendono l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime, anche al fine di provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni e violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni, anche aventi per oggetto la razza, la lingua, la religione, l’orientamento sessuale, l’opinione politica, l’aspetto fisico o le condizioni personali e sociali della vittima”.

La rimozione dei contenuti deve avvenire entro le successive 24 ore dal momento della segnalazione; in caso di inazione (anche giustificata), il gestore del sito dovrà far fronte a una sanzione fino a 180mila euro. Non servirà affermare di aver dichiarato il vero nei contenuti per difendersi: viene giudicata l’offesa personale, non se un’affermazione è vera o falsa. Con l’automatismo delle 24 ore non esiste nessun giudice che possa filtrare la legittimità dall’illegittimità della richiesta.

Il testo prevede, inoltre, che entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, i gestori dei siti debbano dotarsi di procedure specifiche per la ricezione e la gestione delle istanze di oscuramento, “dandone informazione tramite avvisi chiari e di facile individuazione pubblicati nella pagina iniziale degli stessi siti”.

Gli esperti di telecomunicazioni parlano già di “incompatibilità con la Convenzione Europea dei diritti umani, che sancisce la libertà di opinione” e “con la Direttiva europea 2000/31 sul commercio elettronico, che prevede meccanismi diversi per la rimozione dal web di contenuti illegittimi”.

Concretamente la legge così strutturata non servirà a fermare in Italia il bullismo, le molestie o il “revenge porn” (la pornografia pubblicata per “vendetta”, senza il consenso delle persone coinvolte): gran parte delle piattaforme usate in rete non ha sede in Italia, quindi non saranno toccate dalle leggi nazionali; quelle presenti sul territorio nazionale, potranno spostare i loro uffici all’estero per evitare una multa onerosa ogniqualvolta qualcuno si riterrà offeso in rete.

Quello che effettivamente questa legge farà, sarà dar vita a un potentissimo mezzo di censura, senza prevedere una sanzione per gli inevitabili abusi che si verificheranno. I criteri stabiliti, riferendosi al semplice fatto che una persona dichiari di sentirsi offesa e danneggiata, permettono di avanzare rivendicazioni dal carattere puramente soggettivo e autorizzano a multare pesantemente chi vorrà opporsi sostenendo che siano stati commessi atti di censura indiscriminati.

Senza dubbio la legge, volendo prevenire e reprimere un fenomeno sempre più diffuso e dalle pericolose ritorsioni, è nata con le migliori intenzioni, ma nessuna delle iniziative presenti in essa sembra essere veramente determinante per combattere il cyberbullismo, ponendosi piuttosto come un incauto strumento che rischia di sfociare nella più becera censura.

fonte: change.org

fonte: change.org