CATANIA – “Cu nesci, arrinesci”: è questo il motto che guida molti siciliani e molti catanesi lontani dalla loro terra per ragioni lavorative o per studio. In altre parole, per cercare di costruire un futuro migliore. L’idea che però rimane sullo sfondo, che si avverte parlando con la gente, è quella del non sentirsi mai completamente slegati da casa, il voler continuamente ritornare quando si può, quando le condizioni lo consentono.
“Mbare (amico, ndr), a Udine, una volta che ti abitui. è bello, ma Catania è Catania. Ci fossero speranze per il futuro tornerei a occhi chiusi”, racconta Francesco poco dopo essere sbarcato a Fontanarossa dal capoluogo friulano. Lui, uno dei tanti studenti catanesi fuori sede sparsi per l’Italia, è andato al nord per studiare Economia, una facoltà che avrebbe potuto trovare anche nel capoluogo etneo: “Non credo che l’università di Catania, per quanto riguarda le materie economiche, abbia nulla da invidiare a università oltre lo stretto, non ho voluto farlo perché altrove sia meglio. Volevo solo provare l’esperienza di vita di vivere fuori, di stare solo lontano da casa, di vedere altra gente, di aprire la mente verso realtà diverse dalla mia”.
Stessa cosa ci conferma Daniele, studente di legge dell’università di Bologna, che però si è trasferito al nord con tutta la famiglia:” Mia sorella voleva andare a studiare giurisprudenza, mentre mio padre lavorava in un ospedale della provincia etnea in un contesto un po’ difficile. I miei hanno chiesto la mobilità sia per permettere a me e ai miei fratelli di studiare fuori, sia per il miglior ambiente lavorativo”.
Abituati a muoverci nelle sabbie mobili, si vede nella fuga l’unico modo per aprirsi ad altre opportunità. Perciò si scappa da questa terra anche se ne si rimane, a detta nostra, innamorati. Ma bisogna utilizzare uno sguardo esterno perché spesso assuefatti, rassegnati al corso degli eventi da una città che ci lascia così tanti motivi per arrabbiarci, non riusciamo a protestare per nessuno di questi.
“Qua è come se ci fossimo rassegnati – commenta Federica – agli autobus in ritardo, all’illegalità dilagante e alle cose che non funzionano. Ora si è tutti contenti e soddisfatti per la nuova metro e una nuova piazzetta al lungomare, ma nessuno guarda, per esempio, al BRT non più efficiente come agli inizi oppure alla viabilità che rimane sempre un tema drammatico”.
Ma anche acquisita un’ottica diversa, una professionalità, difficilmente si torna per cambiare questa città. Si torna solo per le vacanze, per il sole, per incontrare nuovamente i nostri familiari: giusto un ritorno al passato per poi guardare al futuro, fuori, lontano. Tra gli intervistati almeno, nessuno ha come obbiettivo principale quello di tornare e cambiare questa terra dopo essere stato fuori.
E anche questo è parecchio radicato nella mentalità catanese, con il ragionamento classico del ”Cu tu fa fari?” (chi te lo fa fare?). Che forse non la si ami abbastanza, questa terra?
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