CATANIA – Il Coronavirus ha distrutto salute e vita di moltissime persone, ma purtroppo pare che gli effetti di questo male silenzioso si faranno sentire ancora più potenti quando il 4 maggio (teoricamente) gli Italiani usciranno da casa e le attività riprenderanno a produrre.
Sembra proprio che saranno i commercianti le vittime “a lungo termine” del virus e uno di loro ha raccontato ai nostri microfoni cosa si prova a trovarsi in questa situazione tanto difficile quanto spaventosa.
“Ho chiuso l’attività volontariamente 2 giorni prima che iniziasse la quarantena, dunque il mio negozio è fermo da 50 giorni“, a parlare è Salvatore Bonaccorsi, direttamente da #ilbona, negozio di abbigliamento maschile nel pieno centro di Catania.
“Non voglio sottopagare nessuno e per questo ho scelto di non avere dipendenti, per cui ho sempre pensato a tutto io – continua Salvatore – dalla cassa, all’esposizione, fino alle pulizie dentro il locale e quindi per fortuna nessun altro sta soffrendo per questa quarantena, ma adesso io sono veramente nei guai: ogni nuova collezione d’abbigliamento è sistemata già l’anno prima e quindi fine febbraio senza avere idea di cosa stesse per succedere ho chiamato le aziende per ricevere la merce. Intorno al 5 marzo ho ricevuto la merce che ora sta dentro il negozio, ovviamente non venduta, e le aziende chiedono comunque assegni pagati per i vestiti”.
Sembra quasi uno scherzo la situazione in cui si trova, con “il negozio pieno di merce e tutti gli assegni in banca. A questo si aggiungono le spese quotidiane che tutti affrontiamo, bollette, auto, mutuo – che non gli è stato rimosso al momento, pare perché non ci sia alcun licenziamento alla base del guadagno nullo – in aggiunta anche alle utenze della bottega, che non sono state fermate anche se nessuno ci sta dentro e al proprietario della bottega che chiede l’affitto di un locale che nessuno avrebbe mai potuto utilizzare”.
Una stima verosimile del denaro perso a causa della quarantena è di circa 500 euro al giorno… moltiplicato per ben 50 giorni: “Ho aperto questa attività 6 anni fa e fra alti e bassi sono riuscito ad andare avanti, ma adesso come posso fare?”.
“Una vera e propria violenza psicologica“, così ha descritto il percorso verso la riapertura del 4 maggio Salvatore Bonaccorsi: “Le persone avranno paura e non vorranno comprare, non proveranno i vestiti e forse nemmeno entreranno dentro il negozio per colpa delle file che ci saranno”.
Alla base della paura del futuro, poi, pare ci siano le regole dettate dal Governo italiano, che non sono state ideate in maniera abbastanza approfondita e dunque creano più dubbi di quelli che dovrebbero risolvere: “Come dobbiamo comportarci durante la fase 2? Se durante la fase 1 nessuno in supermercati e farmacie ha mai misurato la febbre, perché dovrebbe farlo dal 4 maggio? E cosa succederebbe se dei clienti in fila scoprissero che davanti a loro c’era qualcuno con la febbre e vanno via? Per non parlare della sanificazione nei locali: se è resa necessaria dalla presenza di un possibile infetto e dunque va fatta 2 volte al giorno, fuori in strada dovremmo veder passare decine di furgoncini ogni ora“.
“Queste leggi vanno contro i lavoratori che riapriranno le loro attività – conclude – quindi io riaprirò giorno 4 maggio, ma non prometto di poter seguire alla lettera queste richieste, purtroppo la situazione è troppo complicata“.