CATANIA – Su richiesta condivisa da tutte le forze politiche, la Commissione parlamentare Antimafia si è riunita a Catania. Una scelta dal forte valore simbolico, interpretata come un segnale di presenza dello Stato in un territorio che, nei mesi scorsi, ha vissuto nuove tensioni legate a omicidi e intimidazioni.
“Abbiamo accolto convintamente l’invito a riunirci qui – ha spiegato la presidente Chiara Colosimo – mettendo a disposizione le nostre conoscenze e, soprattutto, ascoltando gli inquirenti e la magistratura”.
I “due livelli” della criminalità catanese
Al centro dei lavori catanesi, la fotografia di una criminalità organizzata che continua a muoversi su due piani distinti. Il primo è quello “di strada”, fatto di clan che gestiscono le piazze di spaccio diffuse nei quartieri popolari. Il secondo, più silenzioso e radicato, è quello degli affari e dei grandi appalti, controllati dalle storiche famiglie mafiose della città.
“È il livello che fa da bancomat della criminalità organizzata – ha sottolineato Colosimo – e che trova alimento nelle fasce più deboli della società: migranti e, soprattutto, giovani”.
Un meccanismo che, secondo la Commissione, continua a garantire forza economica e potere di influenza ai clan Santapaola-Ercolano e al gruppo dei Mazzei, entrambi parte integrante di Cosa Nostra.
I comuni a rischio infiltrazione
Non solo la città. L’attenzione dell’Antimafia si concentra anche sull’hinterland catanese, dove non mancano comuni già sciolti per mafia e altri a rischio. “Abbiamo un comitato specifico che lavora su questo fronte – ha detto la presidente – e continueremo a monitorare con la massima attenzione”.
Il protocollo “Liberi di scegliere”
Accanto all’attività di indagine e monitoraggio, la Commissione intende sostenere iniziative sociali e legislative. È il caso del protocollo Liberi di scegliere, pensato per offrire una via d’uscita ai figli delle famiglie mafiose.
“Vogliamo trasformarlo in disegno di legge – ha spiegato Colosimo – perché i risultati sono incoraggianti. A Catania hanno già aderito 12 donne e 70 minori”.
Un modello che, nelle intenzioni, dovrebbe diventare strumento stabile di contrasto alla criminalità minorile e di sostegno a chi vuole allontanarsi da contesti familiari segnati dall’illegalità.
Piazza Lanza come centrale operativa
Il nodo più delicato resta però il carcere. Da piazza Lanza, secondo le indagini, continuerebbero a partire ordini relativi a estorsioni e omicidi.
Durissimo il procuratore della Repubblica di Catania, Francesco Curcio: “In quarant’anni di magistratura, solo negli ultimi sei-sette anni ho visto un fenomeno di queste dimensioni. I detenuti dispongono di cellulari con cui comunicano con l’esterno. È bene che i cittadini capiscano che la detenzione non neutralizza, di fatto, l’attività criminale”.
Il magistrato ha descritto uno scenario in cui i boss, pur dietro le sbarre, continuano a dare disposizioni su come condurre estorsioni, dove collocare il denaro e perfino su chi colpire. “Servono sistemi di controllo incisivi – ha aggiunto – perché così anni di indagini rischiano di andare in fumo”.
La stessa Colosimo ha ribadito la necessità di fornire alla magistratura strumenti per intervenire anche all’interno dell’amministrazione penitenziaria: “I boss dal carcere continuano a parlare con l’esterno. Non possiamo permetterlo”.
Il ruolo delle famiglie
Un ulteriore fronte è quello delle famiglie “criminogene”. Qui il procuratore Curcio ha lanciato un appello a misure tempestive: “Se ci accorgiamo che in una casa si confezionano stupefacenti davanti ai bambini o si tengono pistole sul tavolo, bisogna intervenire subito, indipendentemente dalle conseguenze penali. È questa la direzione del moderno diritto di protezione minorile”.




