CATANIA – Confermata la condanna dalla Corte d’assise d’appello di Catania, per il 53enne Rosario Guzzetta, accusato di aver assassinato Rosario Cinturino nel 1990, strangolandolo in auto con una corda. La pena è di 21 anni di reclusione per omicidio.
La ricostruzione dei fatti
Secondo la ricostruzione della Procura, rappresentata in aula dal Pg Andrea Ursino, il delitto sarebbe scaturito per dei contrasti tra i due, a causa della spartizione del denaro ricavato dal traffico di sostanze stupefacenti.
La Corte, presieduta da Elisabetta Messina, giudice a latere Giuliana Fichera, ha confermato anche le statuizioni previste in primo grado per i quattro familiari della vittima che si sono costituiti parte civile al processo.
La svolta nel “cold case”
Il caso sarebbe rimasto irrisolto se nel 2019, ben ventinove anni dopo il delitto, non ci fosse stata una svolta nel “cold case” dovuta all’archiviazione di dati di vecchi fascicoli della polizia scientifica, da cui è emerso che sul luogo dell’omicidio erano stati repertati anche “due frammenti di impronte papillari“. Uno di questi corrispondeva al “pollice della mano sinistra di Rosario Guzzetta, che era stato “fotosegnalato” nel dicembre del 1984 per rapina“.
Tutto riconduceva all’indagato, che però risultava essere stato detenuto dall’ottobre del 1986 al gennaio del 1993. Ma, accertamenti disposti dal pool di magistrati della Procura, coordinati dall’aggiunto Ignazio Fonzo ed eseguiti dalla Squadra mobile della Questura di Catania, hanno consentito di verificare che il giorno del delitto Guzzetta non era in prigione, avendo ottenuto un permesso premio dal 15 al 30 marzo del 1990.
Pertanto, il 28 marzo di quell’anno non si trovava nel carcere di Nicosia (Enna) dove stava scontando la sua pena, bensì era “a piede libero“. Nell’inchiesta c’è stata una numerosa confluenza di intercettazioni telefoniche e ambientali nelle quali, secondo l’accusa, “Guzzetta rivela il movente dell’omicidio sostenendo che lo ha ucciso in quanto era suo debitore“.
L’indagato inoltre, come sostiene la Procura, “non conoscendo pienamente le fonti di prova a suo carico, ritiene con certezza che ad accusarlo del delitto sia il collaboratore di giustizia Concetto Bonaccorsi detto “U Carateddu”“.