Catania, Comitato Porto del Sole: “Siamo ultimi in Italia”

CATANIA – Matheus, il giovane turista che abbiamo incontrato al Porto di Catania, ci ha fatto riflettere su quello che oggi è l’assetto di uno dei servizi più importanti della città etnea insieme con l’aeroporto Fontanarossa.

Al fine di avere quante più chiare risposte possibili ci siamo rivolti al comitato “Porto del Sole”, che vede al suo interno addetti ai lavori e uomini che hanno a che fare con il porto marittimo etneo. I punti chiave riguardano la presenza dei silos, la disposizione dei container e, in particolar modo, la darsena.

Partiamo con ordine: che ci fanno lì i silos?

“I silos dovevano essere rimossi già da tempo poiché vuoti al loro interno. Visto che però questi non sono stati riportati alla Zona industriale, sono stati fatti i murales. Per quanto belli possano essere, servono solo a giustificare il mantenimento dei silos, non fungono come opera d’arte vera e propria. L’unico loro funzionamento al porto riguarda una tubatura che viene volturata per edifici o quant’altro, per scopi che restano sconosciuti. Inoltre i murales sono opera di nove artisti internazionali, tra cui il portoghese Vhils, per un importo di circa 55 mila euro: visto che la street art è servita soltanto come ‘giustificazione’, forse sarebbe stato meglio chiamare artisti locali e sicuramente risparmiare molto di più. Questione di scelte”.

Quando si entra al porto, o si arriva dal mare, si vede una montagna di container: perché tutta questa abbondanza?

“I container sono troppi, è vero che soprattutto chi arriva dal mare non gode di un piacevole spettacolo. Bisognerebbe spostarli”.

Dove?

“Ecco il problema. È parecchio scomodo, non ci sono i mezzi adatti. I container da noi arrivano tramite ferrovie da Rotterdam e Trieste. Una destinazione potrebbe essere il porto di Augusta, ma non c’è nulla di concreto”.

La questione più calda però riguarda la darsena, reduce da un crollo che ha fatto “scalpore”.

“C’è veramente tanto da dire: innanzitutto l’errore sta nella funzione della darsena. Inizialmente, infatti, doveva essere un porto turistico ma poi è diventata zona traghetti. Se di zona traghetti si parla, non esiste una darsena sulla sabbia con le correnti del Simeto che possono spazzare tutto in un attimo. Non si parla di cemento depotenziato ma di struttura depotenziata: il problema viene dalle radici, non c’è cemento che avrebbe tenuto e impedito il crollo della banchina. Un altro errore riguarda la location: la darsena doveva sorgere a nord del porto, zona stazione con bracci sul mare di Ognina. Parliamo quindi di scogliera, ma è stata fatta sulla sabbia e questi sono i risultati. Gli autisti che passano lungo quella zona non devono sentire vibrazioni dal terreno: non si gioca con l’incolumità dei lavoratori”.

Il 13 febbraio (ore 9) ci sarà un processo al Tribunale di Catania per quanto accaduto alla darsena: le correnti del Simeto, torrente Acquicella e i materiali adottati saranno solo alcuni degli ordini di cui si discuterà. Il processo è aperto a tutti: molte associazioni hanno già affermato di prenderne parte, tra cui anche il comitato “Porto del Sole”.

C’è modo di trovare delle soluzioni per risolvere queste carenze?

“È molto difficile, la cosa che ci fa meno onore è quella di essere l’ultimo porto d’Italia per efficienza mercantile: è un dato gravissimo, affermato già dalla mancanza di navi da crociera che ormai non attraccano più a Catania. Non solo: le zone doganali sono chiuse alla città, il Porto di Catania è l’unico al mondo ad avere questa ‘usanza’; il porto commerciale pieno di negozi è adesso occupato da bancarelle, la vecchia dogana è un night club. Non credo ci sia altro da aggiungere, proprio perché tutto questo fa già male di suo”.

Gabriele Paratore

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