Cartellonistica abusiva: confronto tra Catania, Roma e Napoli

Cartellonistica abusiva: confronto tra Catania, Roma e Napoli

CATANIA – Continuiamo a parlare di cartellonistica abusiva; ieri Notarbartolo, chiamato in causa dalla nostra redazione in quanto uno dei principali promotori della battaglia contro la cartellonistica abusiva, aveva esordito molto duramente: “Vedete quella cartellonistica pubblicitaria che trovate in giro per le strade? È tutta abusiva”.

Il punto è che il piano che regolamenta la cartellonistica è scaduto, non è stato ancora rinnovato, per quanto ci si stia già lavorando. Manca però un piano generale dell’impiantistica, e non si sa quindi quali siano i luoghi in cui si potrebbe affiggere. Ci si trova in una sorta di limbo fra il piano nuovo e quello vecchio, ragion per cui tutti i cartelloni sono diventati abusivi.

In questo marasma però, forse, ci può consolare il fatto che nelle altre città la situazione non è particolarmente più felice. 

Restando sempre nel sud Italia, l’anno scorso a Napoli scoppiò un vero e proprio scandalo: il nucleo radiombile di Napoli, dopo un controllo, riscontrò 55 violazioni della norma (che varia da città in città). Le multe sono state un salasso: complessivamente 100mila euro.

Altra città in cui la situazione appare drammatica è Roma. La Città Eterna, infatti, è tappezzata di pubblicità, spesso e volentieri abusive, che degradano il fascino della Capitale. Per farsi un’idea basti pensare che da un censimento del 2001 saltò fuori che a Roma vi erano 90.000 manifesti pubblicitari… bene, il 68% risultava essere abusivo. A distanza di 15 anni la situazione pare lentamente migliorare; il nuovo Assessore al Commercio della Giunta Raggi, Adriano Meloni, ha promesso la rimozione di 1.200 cartelloni abusivi. A settembre la notizia, con annesse fotografie, della rimozione di 100 di essi; la situazione più tragicomica è di uno di essi piazzato praticamente davanti ad un semaforo.

Aspettando, e sperando, che la situazione a Catania si assesti ci “consoliamo” col fatto che, almeno da questo punto di vista, forse c’è chi sta peggio di noi.