CATANIA – “Sei grasso/a”, “sei brutto/a”, “sembri gay”, “perché non ti uccidi?”: sono tutti insulti che siamo abituati ad ascoltare ogni giorno, ma solo recentemente abbiamo compreso le potenzialità disastrose di queste parole dette troppo spesso con troppa leggerezza.
I media e la società lo presentano come la maggiore emergenza della scuola degli ultimi anni, ma in pochi sanno che in realtà è vecchio come il mondo: il bullismo, in particolare quello legato alla sfera verbale, è una piaga sociale che affligge le nostre scuole (e non solo) da svariati anni.
Al contrario di quanto si possa credere, il bullismo nella forma di body shaming, ovvero di insulti rivolti all’aspetto fisico della vittima, non è rilegato alla scuola, né coinvolge soltanto le donne: ad esserne vittime sono non solo le adolescenti, ma anche un numero sempre crescente di uomini, di membri della comunità LGBT e disabili.
A questo punto la prima domanda che sorge spontanea è: perché? Comprendere l’origine del “successo” del body shaming è piuttosto difficile.
Le opinioni sul perché un fenomeno del genere sia nato e si sia evoluto così velocemente e in maniera così disastrosa (basti pensare a quanto l’uso dei social per rivolgere insulti amplifichi il fenomeno) sono diverse, ma molti sono concordi nell’associare il sorgere del problema alla mutazione dei valori sociali negli ultimi decenni.
La società occidentale ha recentemente visto cambiare radicalmente i propri ideali e le proprie priorità: i principali criteri di valutazione di una persona non sono più la cultura e l’integrità, ma la bellezza (in particolare nel caso delle donne) e la corrispondenza a un modello di donna o di uomo imposto dalle pubblicità o dal mondo dello spettacolo. Tale modello è ben lontano dall’essere universale o universalmente accettabile, ma purtroppo condiziona costantemente le nostre vite.
Da quando la bellezza è diventata il valore primario, la società ha iniziato a stigmatizzare tutti quelli che non rientrano nei “canoni”: persone “in carne”, uomini poco muscolosi, trans e perfino diversamente abili.
Il body shaming è una diretta conseguenza di questo mutamento sociale. Viene percepito come un fenomeno nuovo, ma è esistito per decenni senza che nessuno ne comprendesse la gravità. Sono stati i tragici suicidi, i continui pestaggi e i numerosi casi di cyberbullismo a rivelare le sue potenzialità “letali” non solo ai giovani, ma anche a genitori, datori di lavoro e insegnanti.
Restano ancora da capire quali siano effettivamente le conseguenze del body shaming sulle vittime e quali provvedimenti sia possibile prendere per contrastarlo.
Le conseguenze del body shaming sono principalmente di natura psicologica: depressione, isolamento, consumo di alcool e droga, problemi alimentari e autolesionismo sono solo alcuni dei preoccupanti comportamenti che si manifestano ogni giorno nelle vittime. Nei casi più tragici si può arrivare anche ai tentativi di suicidio o al suicidio vero e proprio.
Sembrerebbe impossibile risolvere questo dramma, eppure un modo esiste: la soluzione al bullismo e al body shaming deve arrivare da un lavoro sinergico tra vittime e autorità coinvolte (scuola e genitori, ma anche ideatori di pubblicità “pro-shaming” e istituzioni).
Sono numerose le campagne di sensibilizzazione attivate da diversi enti (scuole, onlus e gruppi di vittime in primis) e anche da diversi personaggi del mondo dello spettacolo, da modelli a cantanti, attori e altri personaggi pubblici.
Interessante anche il progetto Youpol, l’app gratuita della polizia che permette la denucia, anche anonima, dei casi di bullismo. Dalla sua inaugurazione, avvenuta lo scorso anno, centinaia di casi di bullismo sono stati portati alla luce (l’ultimo caso a Palermo qualche giorno fa) ed è stata avviata una politica per contrastare ogni tipo di violenza, fisica o psicologica.
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