Bimbi dimenticati. Le donne e lo stress, quando bisognerebbe chiedere “aiuto”

CATANIA – “Maternità e lavoro, perché le donne non ce la fanno più”. Questo è il titolo di uno degli ultimi post pubblicati sul suo profilo Facebook da Ilaria Naldini, la 38enne di Castelfranco che il 7 giugno scorso ha dimenticato la figlia di appena 16 mesi in auto convinta di averla accompagnata all’asilo

Finito il suo turno di lavoro, alle ore 14 circa, la donna si è recata in auto per far ritorno a casa e ha fatto la macabra scoperta: per la piccola Tamara non c’era più nulla da fare. Era rimasta in macchina, sotto al sole cocente per diverse ore, a piangere chissà come e chissà quanto per quella mamma che l’aveva lasciata lì, da sola. 

“Abbiamo sentito un urlo straziante…”, dichiararono alcuni testimoni. Un urlo di disperazione, dolore, follia. Un urlo che sa di tragedia. Un urlo che sa di stress, di cose da fare, di pulizie in casa, di Tamara e di lavoro. Un urlo che sa di solitudine. 

Il caso della piccola Tamara, dai capelli chiari e gli occhioni come il mare, ha creato un tam tam mediatico tale da far puntare i riflettori su queste madri o padri che, tra le mille cose da fare, dimenticano in ogni dove i propri bambini che di colpe, in fondo, non ne hanno mai. 

Abbiamo deciso di capire cosa scatta nella mente di un genitore in queste drammatiche situazioni e ad aiutarci ci ha pensato la psicologa e psicoterapeuta, dottoressa Valentina La Rosa, di Catania: “C’è da dire che sicuramente che i genitori si trovano in una famiglia tipo: lavorano e il carico di stress è molto forte. Spesso si ritrovano ad affrontare l’accudimento dei figli senza avere un supporto adeguato dalla rete familiare, dalla rete sociale, etc. Non è più come un tempo quando si poteva contare su una famiglia più allargata, fatta di nonni, zii, cugini. Molte famiglie sono ormai dei nuclei limitati ed è quindi difficile poter contare su una rete adeguata di supporto e quindi il carico è raddoppiato se non maggiore. Questo ovviamente può essere uno dei motivi ma non è il motivo principale: la dimostrazione è il fatto che tanti genitori sono stressati ma non per questo tutti dimenticano i loro bimbi in giro. Le cause andrebbero ricercate in situazioni individuali e soggettive. Dietro ci sono sempre particolari disagi e delle difficoltà nel resistere allo stress”.

Le cause, dunque, che fanno arrivare al limite una donna o un uomo possono essere molteplici ma… soffermiamoci sui “campanellini d’allarme” che fanno pensare che un genitore stia per varcare un “limite” da cui, nella maggior parte dei casi, non si torna indietro se non con una tragedia. 

“Sicuramente tutti quelli che sono i correlati dello stress o comunque di una capacità di resistenza allo stress limitata come può essere quella percezione di non riuscire più a reggere i ritmi quotidiani: quindi stanchezza, nervosismo, agitazione, ansia… tutti quelli che sono i correlati diciamo di problematiche legate ad una cattiva gestione dello stress. C’è da dire che nella nostra psiche non è tutto sempre razionale, c’è sempre una parte della nostra psiche che è inconsapevole e può venire fuori in momenti di particolare stress e tensione come può essere appunto un sovraccarico lavorativo, etc. È come se si creassero poi dei buchi nella memoria, le così dette amnesie dissociative, una sorta di black out che diciamo non è spiegabile razionalmente“. 

“Non è un caso, infatti – continua la dottoressa La Rosa – se i genitori nei ‘ritrovamenti’ e nella consapevolezza di aver dimenticato il proprio bimbo in giro sono sempre ‘stupiti’. Non sono consapevoli di quello che fanno“. 

Spesso pensiamo di aver compiuto un gesto, un’azione che, fondamentalmente, non abbiamo fatto. Perché? Cosa accade al cervello? “Questi sono da un punto di vista diagnostico dei fenomeni dissociativi: è come se si creasse una sorta di black out a livello mentale. Siamo convinti di aver seguito la nostra routine quotidiana mentre in realtà non è così. Questo avviene in soggetti che hanno dietro una loro fragilità e che possono essere maggiormente predisposti e che quindi vivono una situazione di stress particolare: cognitivo, emotivo… che può favorire, in un certo senso, situazioni di questo tipo e quindi è difficilmente spiegabile perché i meccanismi della psiche sono difficili da comprendere e da spiegare anche per gli esperti del mestiere”.

“Fenomeni di questo tipo possono lasciare un po’ perplessi però – spiega la psicologa e psicoterapeuta – nella casistica esistono e vengono chiamati ‘fenomeni dissociativi’. È come se una componente della personalità si dissociasse e quindi non avesse più cognizione della realtà che la circonda”. 

Nella realtà in cui viviamo, in una società dove se non lavori non vivi e dove si fanno sempre meno bambini, sarebbe utile per questi neo genitori “fare un salto” da uno specialista per scoprire come comportarsi, vivere e superare questi momenti di tensione? “Quando ci si rende conto di vivere un momento di particolare vulnerabilità e fragilità, soprattutto nelle prime fasi, nella prima maternità, il primo figlio, o comunque in situazioni familiari che sono particolarmente pesanti da sostenere insieme al lavoro, è importante rivolgersi ad un professionista o ai servizi territoriali per sostenere la maternità a lungo termine”.

“Purtroppo questo – evidenzia la dottoressa – a livello dei nostri servizi manca. Questi genitori vengono lasciati un po’ da soli e non vengono sostenuti nel percorso di genitorialità: un percorso che si costruisce passo passo e in un lungo periodo. Genitori spesso disorientati che fondamentalmente, hanno bisogno di un sopporto”. 

Ma soffermiamoci per un solo istante a quante madri o padri o coppie si recano dallo psicologo o dal psicoterapeuta nella città di Catania… sono davvero pochissimi. E sapete perché? Nella maggior parte dei casi, gli stereotipi, parlano di persone “pazze” o con “problemi mentali”. Il binomio “psicologo-pazzia” è molto comune

“Purtroppo sì, ci si deve confrontare con dei pregiudizi a livello culturale che nel nostre territorio sono diciamo un po’ più frequenti rispetto ad altre regioni o ad altre realtà territoriali. C’è da dire anche che questo sta nei professionisti che devono riuscire a promuovere una cultura diversa: chi si rivolge ad uno psicologo non è vittima per forza di una patologia mentale ma è una persona che vive un momento di particolare disagio e vuole capire che cosa sta succedendo in un momento particolare della sua vita e quindi si rivolge ad un professionista”. 

Il tutto per evitare queste tragedie da cui non si fa ritorno che “sono le punte di un iceberg che in realtà nascondono storie di sofferenze e disagi che poi, col passare del tempo, si amplificano sempre di più fino ad arrivare a fenomeni così eclatanti”. 

“C’è tutto un lavoro dietro che si dovrebbe promuovere: prevenzione e sostegno per i genitori, per la famiglia, per una rete vera e propria che dovrebbe essere incrementata. La psicologia – spiega la dottoressa La Rosa – ha un ruolo importante: superare questi stereotipi culturali”. 

Madri, mogli, operaie… sono proprie le donne quelle sottoposte ad un maggior carico di stress rispetto al marito. “La donna ha un carico maggiore e deve conciliare molte cose ed è difficile farlo”, conclude la psicologa e la psicoterapeuta Valentina La Rosa.