Antonio e il dramma della disoccupazione. Infermiere siciliano dorme fra i passanti della via Etnea di Catania

Antonio e il dramma della disoccupazione. Infermiere siciliano dorme fra i passanti della via Etnea di Catania

CATANIA – “Io sono Antonio. Non ho un lavoro e guardo il mondo passare”. Freddo pungente. L’impressione è che ci si muova senza una meta precisa. Basta passeggiare. Santo Stefano a Catania, in via Etnea, dove il tempo scorre lento, appesantito dai postumi dei bagordi della vigilia e del pranzo di Natale. Dove fra le famiglie, e le coppie in dolce attesa, e i fidanzatini che sembrano eterni, e storie, storie, ancora storie che si sfiorano, si incrociano, c’è anche Antonio.

 Senti nell’aria l’odore degli arancini spandersi dal noto locale lì vicino, dai pacchetti che fluttuano nella folla, ascolti la bella voce che giunge dal piano bar di una enoteca poco distante, i calici pieni, rossetti, spensieratezza. E Antonio.

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Apprendiamo il suo nome leggendo quel che ha scritto sui pezzi di cartone in cui si è incorniciato. Avvolto in un plaid, età indefinibile, che ha di certo, però, superato i 50,  la sua casa chiusa in un trolley e una busta di plastica. Antonio si definisce un “Barbone. Avevo un lavoro, ora solo un cartone e una coperta. Voi vi vergognate, io no. Quando mi vieni vicino sorrido e chiedo un tozzo di pane. Non ho una famiglia, ma tanto orgoglio, anche se dormo tra i rumori del traffico”.

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Antonio è immobile. Attorno, tutto. C’è chi si ferma. C’è chi passa oltre. C’è chi si commuove. C’è chi si indigna. C’è chi si rattrista. C’è chi lo critica. C’è chi critica chi lo ha costretto a quel che non nasconde. C’è chi legge e comprende. C’è chi legge e scrolla le spalle. C’è chi dona qualche spicciolo. C’è chi sottolinea di non volerlo fare.

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Santo Stefano a Catania. In via Etnea. La centralissima via Etnea. Un disoccupato. Un disoccupato italiano, siciliano, che in un’altra vita è stato un infermiere professionale. Augura “Buon Natale” ed un “Sereno Anno a Tutti” scrivendolo attorno alla fotocopia del suo diploma, rilasciato dalla scuola per infermieri professionali di Taormina.

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Secondo quanto scrive, è stato licenziato 5 anni fa e da allora non è più riuscito a trovare occupazione, perché “Tutti dovremmo avere pari diritti, ma non è così. Chi cade trova terreno scivoloso, è difficile rialzarsi. Il lavoro ha il potere di rendere ruvido il terreno, ma caro lavoro dove sei?”.

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Antonio ora è un oggetto avvolto in una coperta. È la bottiglia lanciata nell’oceano con all’interno l’estrema, disperata richiesta di aiuto. I cartoni sono un racconto di rabbia, rassegnazione, anche sottile speranza. Antonio non parla soltanto di sé. Sintetizza l’Italia di oggi, quella che si sente tradita dalla classe politica, quella che vede nel migrante un privilegiato rispetto ai cittadini indigenti, quella che vede i giovani andare a cercare un impiego fuori dai confini nazionali perché ostacolati da logiche clientelari o corruzione. È un po’ la sintesi, Antonio, di una società costretta alla sofferenza, alle guerre fra poveri, alla frustrazione di chi vorrebbe ma non può. Di una società che prova turbamento o rigetto per un cittadino comune, per un uomo della porta accanto, per un italiano, per un siciliano ridotto così, per strada, sotto le luminarie del periodo festivo, davanti alla vetrina di un negozio che vende calzature di qualità. Un pugno allo stomaco o un prurito molesto. Comunque, qualcosa che non vorresti sentire, che non dovrebbe stare lì dove la vedi. Perché si frantuma il diaframma che rende il virtuale l’altrove. E Antonio esiste. E come lui altri, troppi, sempre più in aumento secondo le stime dell’Istat e delle associazioni di volontariato.

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Le stesse associazioni che da tempo denunciano l’inadeguatezza delle istituzioni, l’incapacità di mettere in atto politiche che restituiscano dignità a schiere di cittadini che soffrono sofferenze inimmaginabili. Eppure Antonio all’interno del quadro allucinante che ha inchiodato su una parete della via Etnea, la sua vita pulsante sotto la coperta e quella urlata coi caratteri a stampatello sul cartone, offre un dettaglio, un messaggio nel messaggio, che è come un carezza che vorrebbe fare e ricevere, di quei gesti che sono boccate di ossigeno. Accanto, come si fa quando si dorme tenendosi stretto qualcosa di caro vicino, un quaderno, sulla copertina la foto di un leone e  scritto col pennarello “Se vuoi puoi leggere le poesie o i racconti”.

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Ne abbiamo letta una: “Dorme tranquillo l’invisibile. Tra il vociare della gente e tra i rumori delle macchine. Non sente nulla. Il suo cervello cancella ogni cosa per dare spazio ai sogni. Sogna di avere un’altra vita, di avere un lavoro, di amare ed essere amato. I sogni a volte si avverano, ma per l’invisibile rimane un utopico sogno non realizzabile. Non ha la forza di reagire, di dire io posso farcela. Forse nel sogno sì, ma non nella realtà. Perché sei sempre l’invisibile di turno”.

Alessandro Sofia