“36 contenitori di morchie e liquami”. Augusta 2016: la verità sul relitto dei migranti mai raccontata

CATANIA – Definizione di morchia secondo la Treccani: “Sedimento melmoso, grasso e di colore scuro che si deposita sul fondo dei serbatoi o si forma in certe lavorazioni. In senso fig., rifiuto, difetto, vizio: siamo considerati la m. dell’umanità”. Definizione di liquame secondo la Treccani: “Nel linguaggio medico, qualsiasi liquido organico derivante da flogosi putride o da processi di disfacimento dei tessuti; l. cadaverico, materiale liquido o semiliquido derivante dal disfacimento dei cadaveri”.

È necessario conoscere il significato delle parole. È necessario per sapere. È necessario per capire. È necessario per affrontare l’abisso. L’abisso. Quello più pauroso; quello più inquietante. Perché l’epilogo della vicenda che riguarda il relitto del peschereccio affondato nel Mediterraneo il 18 aprile dello scorso anno con 800 migranti a bordo è sconvolgente. Da molteplici punti di vista.

36 contenitori di morchie e liquami”. È quel che si legge nel documento della Direzione regionale siciliana dei vigili del fuoco. Nella stiva che poteva contenere un massimo di 40 persone e che era affollata da centinaia di essere umani aggrappati al sogno di un nuovo inizio in Europa sono stati raccolti “morchie e liquami”. Ecco per cosa sono stati spesi 20 milioni di euro. Per raccogliere “morchie e liquami”. I resti di essere umani sono stati definiti “morchie e liquami”. È una lama circolare che sega senza pietà cervello e cuore quella orrenda definizione: “morchie e liquami”.

In un documento scritto per ringraziare l’operato dei vigili del fuoco ai quali il Ministero dell’Interno ha assegnato l’agghiacciante compito di riesumare le vittime rimaste sul fondo del mare per più di un anno, ecco cosa si legge: “Alle ore 11 del 12 luglio 2016 le operazioni sono terminate ed il numero complessivo e definitivo di recuperi è stato: N. 458 body bag N. 7 sacchetti contenenti indumenti ed effetti personali N. 36 contenitori di morchie e liquami”.

Sono dettagli che vi forniamo in esclusiva, mai resi pubblici, su quel che è stato rinvenuto nella stiva dell’orrore, il settore del relitto oggetto degli interventi. Nemmeno dalla Marina Militare italiana, responsabile per la Nato dell’operazione Augusta 2016, che ha fatto scendere il silenzio definitivo sulla vicenda lo scorso 11 luglio, quando ha diramato il comunicato stampa che vedete.

Un comunicato col quale si annunciava la conferenza stampa in cui sarebbero stati rivelati l’imminente conclusione dell’operazione, i risultati e dove la Prefettura di Siracusa avrebbe dato degna sepoltura. Perché lo scopo sbandierato da Renzi, che ha voluto fortemente Augusta 2016, dalla Nato e compagnia cantante era questo: recuperare il relitto della più grande ecatombe di migranti avvenuta nel Mediterraneo per fare dimorare per sempre dignitosamente le vittime della disperazione, dello sfruttamento dei trafficanti di esseri umani e dell’ignavia di chi poltrisce a Bruxelles. Uno spot elettorale per il Governo nazionale e d’immagine per la Nato, secondo alcuni, un esemplare atto di solidarietà ed empatia, per altri. Comunque sia, qualcosa diventato scomodo, sottovalutato, affrontato come se fosse l’Expo, così come abbiamo incredibilmente scoperto leggendo alcuni verbali che vi abbiamo mostrato nel pezzo su Augusta 2016 il 24 giugno, e che ha manifestato le spine fin dalle primissime fasi, così pungenti da essere state ricordate anche nella parte iniziale del documento in nostro possesso.

Così pungenti da fare dimenticare, però, che la fase menzionata nel documento, quella datata 27 giugno, è stata la seconda. Augusta 2016 era stata inaugurata 2 mesi prima. Lo abbiamo scritto, senza essere smentiti, nel primo pezzo sulla vicenda pubblicato il 27 aprile. Il Comando regionale siciliano dei vigili del fuoco ha cancellato il fallimento iniziale, quando non si è riusciti a trainare il relitto, quando è saltata la conferenza stampa che avrebbe dovuto celebrare l’imminente arrivo ad Augusta, quando sono state sbagliate le dimensioni dell’hangar che doveva accoglierlo nel porto siracusano, quando il peschereccio è stato clamorosamente riadagiato sul fondo, al largo di Tripoli, per poi andarlo a recuperare, adesso sì, il 27 giugno. Nel frattempo i dipartimenti dei vigili del fuoco erano già andati in tilt per via dei turni difficili da organizzare per la mancanza di personale, la macchina operativa dei volontari era stata messa inutilmente in moto. Quei volontari ai quali appartengono anche i medici giunti da Milano per prendere in consegna i resti ai quali dare un nome con i test del DNA. Ma i test non sono stati fatti e probabilmente non si faranno, perché non ci sono i fondi necessari per rimborsare le spese almeno del viaggio a chi ha messo a disposizione la propria professionalità gratuitamente, figuriamoci per i costosi esami su quel che il mare ha riconsegnato delle vittime. Perché nelle body bag, nelle sacche blu realizzate per custodire cadaveri non vi sono corpi interi, ma parti. Qui un braccio, in un altro un tronco, poi una gamba. È la cruda realtà. Che è stata fatta affiorare ancora non si comprende perché. Se lo scopo era la pietà, dov’è la pietà? Se lo scopo era il rispetto, dov’è il rispetto? Se lo scopo era l’indagine, dov’è l’indagine? Se lo scopo era la memoria, dov’è la memoria? Intendiamo la memoria che viene cristallizzata in un luogo sul quale andare a piangere, riflettere, omaggiare, ricordare, pregare, non quella delle più o meno sincere iniziative che fanno dei cosiddetti luoghi della memoria territori anonimi, che annullano gli individui in una massa identificata da un termine comune, mortificati da slogan e passerelle che nessun contatto hanno con quel che realmente è accaduto, quel che realmente è.

20 milioni di euro spesi per un’operazione che non darà nomi, che non si sa se darà sepolture, perché nulla si sa su quel che ne sarà dei resti di quei poveri bambini, di quelle povere donne, di quei poveri uomini morti di una morte atroce, risvegliati da un risveglio diventato crudele. E sulla psiche di quei vigili del fuoco che hanno chiuso la cerniera di “458 body bag” e sigillato “36 contenitori di morchie e liquami” grava un mastodontico, minaccioso punto interrogativo. La Marina Militare dopo il comunicato stampa che vi abbiamo mostrato sopra non ha dato alcun resoconto ufficiale, di quel che ne sarà dei resti, dove e quando saranno custoditi. Renzi, poi, sembra avere perduto la memoria di quel che ha ordinato si dovesse realizzare a tutti i costi. Si erano imbarcati neonati, bambini, donne, uomini. Si erano imbarcati figli, madri, padri, fratelli, amici, compagni di speranza. E adesso sono lì, ammucchiati, amalgamati, celati chissà dove, senza identità.

“Morchie e liquami”, il Governo italiano ringrazia e sintetizza così quelle vite, quelle luci spente in una tragica notte estiva: “morchie e liquami”.

Alessandro Sofia