Pazienti allergici e Covid-19, maggiore resistenza al virus: l’intervista al prof. Crimi del Policlinico di Catania

Pazienti allergici e Covid-19, maggiore resistenza al virus: l’intervista al prof. Crimi del Policlinico di Catania

CATANIA – Dall’inizio dello scoppio della pandemia fino a questo momento, medici e ricercatori si sono messi a lavoro per studiare e analizzare il Coronavirus, la sua evoluzione e ogni aspetto che potesse aiutare a definire e conoscere al meglio il nuovo virus.

Durante la fase uno particolare attenzione è stata data ai soggetti allergici colpiti dal Covid, dalle analisi fino a ora effettuate è emersa una maggiore resistenza all’infezione da parte di questo tipo di pazienti. Ne parlava l’Istituto Superiore di Sanità già lo scorso aprile.

Da uno studio più recente svolto dall’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (Roma) è emerso che questo tipo di pazienti non ha avuto bisogno di misure come l’impiego dell’ossigeno supplementare o il ricovero in Terapia Intensiva.

L’intervista al prof. Crimi

La percentuale dei soggetti allergici colpiti dal Covid-19 è inferiore rispetto ai soggetti colpiti da altre patologie, come per esempio quelli affetti da ipertensione arteriosa o da broncopatia cronica ostruttiva“, spiega il professore Nunzio Crimi, Direttore U.O.C. di Pneumologia e Allergologia del Policlinico “G. Rodolico – San Marco” di Catania.

Questo studio ne indaga i probabili motivi: “L’ipotesi è la seguente: il soggetto allergico ha una risposta immunitaria differente, definiamola deviata, verso una sovrapproduzione di sostanze legate all’immunità acquisita di tipo Th2. Essi sono quindi geneticamente predisposti alla produzione di anticorpi IgE e citochine che sono differenti da quelle prodotti dai soggetti non allergici“, prosegue il professore catanese.

Quindi, nei fattori caratterizzanti la risposta Th2, attiva contro le patologie allergiche, si potrebbe ricercare la maggiore resistenza dei pazienti allergici all’infezione da Covid.

Un altro elemento che è stato messo in evidenza riguarda i recettori che agganciano le proteine Spike del virus nelle vie aeree superiori (nasali) e in quelle più basse (bronchiali). Nei soggetti allergici questi ricettori sono espressi in minore quantità – prosegue il professore Crimi -, così diminuisce la possibilità del virus di penetrazione nelle cellule”.

Anche le cure o terapie biologiche cui sono sottoposti i soggetti asmatici allergici rappresentano oggetto di studio e di attenzione: “I pazienti sottoposti a questo tipo di terapie appaiono meno suscettibili a contrarre l’infezione da Covid-19. Questa l’osservazione da me condivisa con il professore Canonica dell’Humanitas di Milano“, conclude il professore Crimi.

In Italia una gran parte della popolazione (fino al 15-20%) riferisce sintomi stagionali legati al polline, i più comuni dei quali comprendono prurito agli occhi, congestione nasale, naso che cola e talvolta eruzione cutanea. Tutti questi sintomi sono generalmente indicati come febbre da fieno, allergia ai pollini o rinite allergica, che è comunemente associata all’asma allergica nei bambini e negli adulti.

Negli studi finora disponibili le allergie, incluso l’asma allergica lieve, non sono state identificate come un fattore di rischio importante per l’infezione da SARS-CoV-2, o per un risultato più sfavorevole.

Invece, l’asma in forma da moderato a grave, in cui i pazienti hanno bisogno di cure quotidiane, è incluso nelle condizioni polmonari croniche che predispongono alla malattia grave.

Rimane alta l’attenzione dei medici e degli scienziati, locali e nazionali, affinché aumentino le conoscenze sul virus che ormai da 9 mesi sta mettendo in ginocchio il Paese.

Fonte foto Pixabay