CATANIA – Lo scorso 2 ottobre, su delega della Procura Distrettuale della Repubblica etnea, la Polizia di Stato di Catania ha dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, personali e reali, dal Giudice per le Indagini Preliminari al Tribunale di Catania nei confronti di due 43enni: Antonino Di Grazia e Carmen Palo.
I due sono gravemente indiziati, in concorso tra loro, di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose e di accesso abusivo a sistemi informatici con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose.
A eseguire le indagini la locale Squadra Mobile – Sezione Reati contro il Patrimonio e la P.A. – Unità Anticorruzione della Polizia di Stato. Queste hanno permesso di acquisire, allo stato degli atti, elementi che dimostrerebbero la sussistenza di condotte illecite di natura corruttiva che vedevano, come soggetti attivi, un agente penitenziario, ovvero Carmen Palo, in servizio alla Casa Circondariale di Giarre e il detenuto Antonino Di Grazia. Quest’ultimo è figlio di Orazio Di Grazia, detto “Scarpa Pulita“, esponente di spicco del clan Laudani con un ruolo apicale nel gruppo di Picanello.
Il provvedimento restrittivo sintetizza gli esiti di un’attività di indagine, scaturita da alcune segnalazioni provenienti dalla Polizia Penitenziaria in servizio nella menzionata Casa Circondariale. Questa avrebbe permesso di accertare come Di Grazia, sfruttando l’interesse dell’agente Carmen Palo per le scommesse sportive, gli avrebbe fornito di volta in volta notizie sui risultati di incontri di calcio di serie minori che, a suo dire, sarebbero state truccate per effetto di un accordo illecito sostenuto dalla famiglia mafiosa di appartenenza e gli prometteva il pagamento degli importi per sostenere le scommesse.
In cambio di tali favori, Palo ha offerto la sua piena disponibilità a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio in favore del detenuto, omettendo controlli e segnalazioni nei suoi confronti, fornendogli informazioni riservate anche acquisite tramite banche dati in uso esclusivo alle Forze dell’Ordine e ritardando il deposito di rapporti disciplinari a carico del detenuto al fine di evitare conseguenze sull’imminente rilascio di permessi premio.
In tale ambito, le indagini hanno delineato un quadro di totale asservimento della funzione pubblica esercitata dall’agente penitenziario agli interessi personali e privati del detenuto tanto che quest’ultimo prefigurava al pubblico ufficiale, una volta conclusa la sua detenzione, possibili affari illeciti in comune. Inoltre, gli prometteva la consegna di ingenti somme di denaro da custodire nell’abitazione dell’agente penitenziario con la possibilità di utilizzarle.
In tale contesto, l’attività investigativa ha permesso di far emergere l’intestazione fittizia del notissimo bar catanese “Caffè Etna S.r.l.s.”, intestato a soggetti “di comodo”, al fine di eludere misure di prevenzione.
Il Giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica, ha quindi disposto nei confronti dei due indagati sopra menzionati l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere e inoltre il sequestro preventivo delle quote della “Caffè Etna S.r.l.s.”, oltre al complesso aziendale. Secondo le prime stime, il suo valore potrebbe attestarsi intorno ai 600mila euro, in relazione al delitto di trasferimento fraudolento di valori. La posizione del titolare “di fatto” dell’esercizio commerciale è attualmente al vaglio del Giudice per le Indagini Preliminari.
L’esecuzione delle citate misure cautelari, avvenuta nel corso della serata del 2 ottobre scorso ha coinvolto, oltre che gli operatori della Squadra Mobile etnea, quelli dell’omologo organo investigativo di Perugia, dal momento che Carmen Palo si trovava in altra Provincia al momento della esecuzione della misura cautelare.
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