Quelle parole che fanno male, uomini d’onore e la mafia: “Così fu fatto fuori”, le confessioni di Carruba

Quelle parole che fanno male, uomini d’onore e la mafia: “Così fu fatto fuori”, le confessioni di Carruba

CALTANISSETTA – Questa mattina, i carabinieri del R.O.S., a Caltanissetta e in altre parti del territorio nazionale, con il supporto in fase di esecuzione di militari dei Comandi Provinciali di Caltanissetta e Agrigento, hanno dato esecuzione a un provvedimento di custodia cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta della Procura della Repubblica di Caltanissetta – Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 17 persone, alcune delle quali già detenute per altri fatti, ritenute a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, estorsioni, reati concernenti le armi, rapina e associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, aggravati ai sensi dell’art. 416 bis.1 c.p.

Il provvedimento cautelare colpisce gli appartenenti alle famiglie mafiose ricadenti nel mandamento di Mussomeli (composto dalle famiglie di Campofranco, Montedoro, Serradifalco, Sutera, Bompensiere, oltre che quella di Mussomeli).

L’articolata attività investigativa, naturale prosecuzione di quelle che nel tempo avevano visto impegnato il ROS nell’area del “Vallone”, ha avuto in Domenico Vaccaro, Calogero Modica, Claudio Rino Di Leo e Antonio Calogero Grizzanti i principali indagati.

L’ampio monitoraggio fatto di pedinamenti e intercettazioni avviato proprio nei confronti di Di Leo, legato da vincoli di parentela a Domenico Vaccaro e già condannato per 416 bis nell’ambito dell’operazione “Urano”, ha permesso non solo di confermarne lo spessore criminale all’interno della famiglia di Campofranco e la disponibilità di armi, ma anche di documentare la fiorente attività di spaccio compiuta dal sodalizio dallo stesso diretto nei territori di Campofranco, Mussomeli e Vallelunga Pratameno con canali di approvvigionamento nel palermitano (attraverso Francesco Pollara) e a San Cataldo (attraverso contatti con Vincenzo Scalzo e Calogero Maurizio Di Vita).

La determinazione a portare avanti le condotte criminali da parte di Di Leo emergeva in tutta la sua spregiudicatezza il 30 maggio del 2012, quando, avendo la necessità di reperire il denaro necessario all’acquisto di una partita di droga, non esitava a compiere insieme a Pollara e altri complici rimasti ignoti una rapina ai danni della filiale della Banca di Credito Cooperativo Toniolo di Campofranco che fruttava un bottino di 18mila euro.



Le indagini avevano avuto un rilevante sviluppo a seguito dell’avvio della collaborazione con la giustizia di Maurizio Carruba, uomo d’onore e già rappresentante della famiglia di Campofranco, arrestato nell’aprile 2011 a seguito dell’operazione del ROS “Grande Vallone”.

Grazie all’enorme patrimonio di conoscenze in suo possesso, era stato possibile non solo attualizzare e riscontrare le dichiarazioni rese nel tempo da altri collaboratori, ma anche fare luce su diversi episodi estorsivi, di alcuni dei quali egli si autoaccusava, ai danni di imprenditori edili, confermare il ruolo di vertice rivestito in seno alla famiglia di Campofranco da Calogero Modica e definire le singole responsabilità in riferimento all’omicidio di Gaetano Falcone (perpetrato a Montedoro (CL) il 13 giugno 1998).

In particolare, attraverso la puntuale attività di riscontro e incrocio delle dichiarazioni rese anche da altri collaboratori era possibile ricostruire il ruolo di mandante di Domenico Vaccaro che, attraverso l’eliminazione di Falcone, non solo voleva vendicare la morte del fratello Lorenzo e di Calogero Carruba, ma anche prevenire una possibile azione nei suoi confronti progettata da soggetti appartenenti a una corrente di Cosa Nostra contrapposta alla sua che volevano scalzarlo dal vertice della provincia mafiosa di Caltanissetta di cui Falcone era espressione.

Per portare a termine il suo progetto, Domenico Vaccaro si era avvalso della collaborazione di Nicolò Falcone (il quale, all’epoca rappresentate della famiglia di Montedoro, di cui faceva parte Gaetano Falcone, aveva dato il suo assenso all’uccisione di quest’ultimo), di Antonio Tusa e Giuseppe Modica che, non solo avevano individuato gli esecutori dell’omicidio di Lorenzo Vaccaro e Calogero Carruba, ma anche pianificato in ogni dettaglio l’azione di vendetta poi portata a termine da Angelo Schillaci e Maurizio Carruba.