CATANIA – Dinanzi ad avvenimenti che scuotono l’opinione pubblica (almeno si spera, visto che oggi mancano tutte, ma proprio tutte, le certezze…) il rischio di chi vuole esprimere una personale riflessione è quello di sfociare nella retorica, nei luoghi comuni, addirittura nella banalità poiché sembrano più che ovvie le considerazioni che possono saltare fuori dalla mente. Ma intendo correre il rischio, in quanto mi sento scosso dagli ultimi eventi violenti sia in qualità di direttore di giornale sia in veste di insegnante.
La violenta e vigliacca aggressione che ha subito il preside dell’Istituto comprensivo “Salvatore Casella” di Pedara, Fernando Rizza, non può che lasciare sconcertati ma, al tempo stesso, non può più vederci passivi. Stiamo delegando tutto, addirittura le nostre vite, a chi dovrebbe tutelarci, farci progredire, darci sicurezza, proporci un futuro migliore per noi e, soprattutto, per i nostri figli. Ma stiamo anche perdendo di vista il nostro ruolo di genitori, educatori, formatori che dovrebbero cooperare col mondo dell’istruzione.
Nulla di tutto ciò si evidenzia in una società che, quotidianamente, si presenta sempre più degradata, incerta, priva di valori e nella quale a crescere sono sempre e solo le caste, le lobby, l’inciviltà.
Fatemi cadere nei luoghi comuni e nella retorica. Ma permettetemi di riflettere su come siamo tutti noi a spingere ogni giorno la nostra società verso il baratro, nella direzione sbagliata, nella piazza dell’inciviltà in cui si radunano la mancanza di rispetto per i ruoli istituzionali, per le regole, per la solidarietà, per la denuncia.
Lasciatemi ricordare, sì pur con tanta banalità, che ai tempi della mia infanzia quando i professori mandavano a chiamare i genitori per delle comunicazioni sul profitto o sulla condotta scolastica di un alunno erano dolori per gli studenti. Prima ancora di sentire le ragioni del docente si additavano i figli, si privavano loro di quelle (poche) materialità che avevano conquistato e che sono certo molto meno dei due o tre cellulari di ultima generazione ciascuno, come spesso accade oggi; della play station, come spesso si ha oggi; della macchinetta, di cui spesso si è possessori oggi. E i genitori, alla convocazione del corpo docente, ci andavano già col piglio di chi doveva rimproverare il proprio figlio.
Oggi è cambiato tutto. Si è completamente ribaltata la situazione. Alla chiamata del professore si va già con un certo fastidio e con la convinzione di dover controbattere al torto che sicuramente nostro figlio ha subito. Pronti, dunque, a scagliarci contro il docente, il preside, l’istituzione in genere. Perché nostro figlio è ben educato e non può sbagliare. Semmai è la scuola che non lo capisce, non lo educa, non lo fa crescere. Come se questo compito non fosse da attribuire in misura eguale e comune all’istituzione scolastica e alla famiglia. No, adesso, si va l’uno contro l’altro armati. E quando, ormai da almeno un decennio, l’idea che diamo ai nostri figli è quella che possono fare tutto, anche sbeffeggiare i ruoli istituzionali, che educazione stiamo trasmettendo a quelli che oggi sono genitori, probabilmente gli stessi che ieri mattina hanno aggredito il preside della scuola Casella?
Da docente ed ex alunno; da genitore ed ex figlio noto questa deriva. E non posso che insorgere. Ma anche da direttore di giornale, attento ai fatti di cronaca, non posso che avere un sussulto.
La quotidianità, ormai, sembra fatta di violenza fuori da ogni limite e lontana da ogni logica. La mancanza di civiltà, di dialogo, di tolleranza sono più che conclamate. E, purtroppo, è come se ci stessimo abituando, nella fattispecie, anche alle aggressioni ai presidi o ai docenti; vigliaccherie che non rappresentano più episodi sporadici. Ricordo ancora, ad esempio, l’aggressione subita da Domenico Marletta, professore di matematica della scuola Giosuè Carducci, avvenuta nell’aprile scorso. Ma la follia umana non si manifesta solo nei confronti di chi “si è permesso di rimproverare nostro figlio”. La molla della violenza scatta anche nei pronto soccorso, ad esempio, contro altri professionisti; dove basta un codice giallo, quando lo si vorrebbe rosso, per scagliarsi contro il medico di turno; e qui il ricordo che affiora non può che essere quello dell’aggressione avvenuta all’ospedale Vittorio Emanuele di Catania. Altro fatto, purtroppo, non isolato.
Ci mettiamo tanto del nostro, dunque, per arrivare alla deriva civile e sociale. Ma non possiamo certo addossarci tutte le colpe. Chi garantisce la sicurezza nei posti di lavoro? Cosa fa lievitare a dismisura i tempi di attesa in un pronto soccorso se non i tagli alla sanità operati da chi dovrebbe, invece, agevolarci la vita? Chi spinge verso le promozioni facili nella scuola dell’obbligo dando l’idea che un alunno può permettersi di tutto e di più, tanto alla fine il risultato è il passaggio alla classe superiore?
È il momento di dire basta. Stop alla logica del “tutto è dovuto”; stop a chi pensa solo ai propri interessi; alla propria ragione; all’annullamento degli altri. Fermiamoci a riflettere; diamo una stretta all’ineducazione; valorizziamo e facciamo rispettare i ruoli di ognuno, nella convinzione che solo così può crescere la società.
Siamo anche banali, se è il caso. Ma a volte la “semplice” banalità può far riflettere a tal punto da farci sussultare.