SICILIA – Un voto per l’Europa, pensando all’Italia e guardando alla Sicilia. Lo scenario che esce fuori dalle urne dell’ultima consultazione elettorale è, nel suo complesso, variegato nelle spiegazioni. Fa riflettere, innesca considerazioni inequivocabili, molto al di là delle aspettative. Nei singoli, nei partiti, nella gente.
Il trionfatore, senza ombra di smentita, è Matteo Salvini che dopo avere affermato la sua leadership al nord ha allargato i suoi orizzonti e le sue conquiste fino al profondo sud. Pensate, anche e soprattutto in quel di Riace e Lampedusa, Calabria e Sicilia, dove a tentare di arginare la sua avanzata c’è sempre stato l’esercito dei buonisti che lo dipingevano come razzista, fascista e detrattore dei meridionali. Ma il Matteo di Pontida ha saputo intercettare il malessere della gente; è sceso nelle piazze, nelle borgate, nei vicoli a stringere mani e scattare selfie. Beh, queste ultime cose, in effetti, le sanno fare tutti i politici in vista delle elezioni. Lui no. Non le ha fatte nell’imminenza delle urne, le fa dai tempi non sospetti, lontano dalla richiesta di voto e, da quel 4 marzo 2018 che lo ha portato al governo nazionale; a questa azione di vicinanza con la gente ha inoltre abbinato ciò che la popolazione chiedeva: più presenza sì, ma anche e soprattutto più sicurezza, più certezze, più controllo del territorio. Che non per forza vuol dire fregarsene dei più deboli. Anzi, non lo vuol dire affatto. E da Lampedusa e Riace il consenso all’azione di Salvini è arrivato più che evidente. A Lampedusa, da sempre approdo del fenomeno migratorio, osannato dalla sinistra e contrastato dal leader del carroccio, la Lega ha sfondato il muro del 45% dei consensi.
Ma è su tutto il territorio siciliano che il “nuovo” Matteo ha sancito la sua espansione arrivando ad ottenere il 22,42% dei voti. Certo, ben lontano dal 34,3% del dato nazionale che lo relega al primo posto fra i partiti italiani. Ma, di certo, un risultato insperato in una terra che, tradita per decenni dai soliti politici, aveva consegnato le proprie speranze ai pentastellati. Per questi ultimi, invece, è stata una sconfitta sonora.
Il Movimento 5 Stelle è andato male dappertutto, anche in Sicilia dove resta il primo partito ma con un tasso del 29,85% che è parente lontano di quel cappotto storico fatto registrare alle ultime politiche dello scorso anno e che aveva portato il Movimento di Grillo & Company a vincere in tutti i collegi uninominali. Adesso, Luigi Di Maio addita l’astensionismo. Che c’è stato, in Sicilia, è vero, e deve fare interrogare sempre più i politici. Ma che non può certo essere analizzato come semplice “non chiamata alle urne”. Semmai, il movente è da ricercare nell’ennesima delusione della gente di Sicilia. Sì, quei pochi che avranno già riscosso le prime mensilità del reddito di cittadinanza (tanto caro e voluto dai pentastellati) saranno anche andati a votare, e si sa certamente per chi. Chi non è andato, invece, deve essere messo sotto la lente d’ingrandimento. E solo così si potrà capire che, ancora una volta, è rimasto deluso dalle aspettative, dalle promesse, dall’incompetenza di chi, toccando con mano le leve del potere, si è poi reso conto che governare non è certo facile come criticare.
In questo scenario di illusioni svanite, dunque, per molti che non si riconoscono nell’area di centrodestra il ritorno in casa Pd è stato quasi automatico. Specie adesso che del “vecchio” Matteo, quello di Firenze, non c’era più traccia né sulla scheda elettorale da contrassegnare né nelle cariche di partito. Ed ecco che, in campo nazionale, il Partito Democratico sembra essere uscito dal coma. Tanto da risultare addirittura più sano del M5S. Ed in Sicilia, con il 18,48% è balzato addirittura al terzo posto. Certo, lo Zingaretti più amato dai siciliani si conferma quello di Camilleri che interpreta Montalbano e non il Nicola di Roma che è sceso nella Trinacria a sostenere la candidatura dell’uscente Michela Giuffrida. Per quest’ultima non è bastata la mobilitazione dei vertici del partito per tornare a Bruxelles. Rispetto al suffragio del 2014, che la vide volare al Parlamento europeo con oltre 93.000 preferenze, la giornalista catanese ha visto quasi dimezzati i suoi consensi (poco oltre i 52.000) tanto da essere superata, nella circoscrizione insulare, da Pietro Bartolo, Caterina Chinnici e Andrea Soddu. E, in questo caso, fra le riflessioni spontanee, un pensiero concreto non può che andare alla memoria di Lino Leanza che 5 anni fa la sostenne nell’agone politico…
Altro successo indiscusso è quello di Giorgia Meloni. Dopo la Lega, Fratelli d’Italia è lo schieramento politico che ha ottenuto il maggiore incremento di voti. Qualcuno, a dire il vero pochi e sprovveduti, non la accreditavano nemmeno del superamento della soglia di sbarramento. Per la presidente di Fratelli d’Italia, invece, l’incremento è stato di quasi il 50%. Meglio in Sicilia (7,28%) rispetto al resto del Paese (6,5%). Nell’Isola, la punta di diamante del partito è stato Raffaele Stancanelli. L’ex sindaco di Catania ha catalizzato oltre 30.000 preferenze. E adesso Giorgia Meloni, mentre pensa a come cambiare l’Europa, lancia chiari segnali di mutamento nazionale a Matteo Salvini. Alla Lega, infatti, rilancia il messaggio che aveva auspicato in campagna elettorale: ottenere, col suo partito, la fiducia degli italiani per sdoganare i leghisti dai pentastellati e dare vita ad una maggioranza alternativa in grado di guidare il Paese con le idee di centrodestra e senza i dinieghi dei pentastellati. E, in questo auspicio, non ci sarebbe posto nemmeno per l’altro vecchio alleato di centrodestra. Quegli azzurri di Forza Italia che, sempre più, sembrano alla deriva.
In Sicilia il partito del Cavaliere ha continuato a perdere pezzi e consensi. Tanto da ridursi al 18,48% di voti che cancella dalla memoria i fasti del 62 a zero targati Miccichè. E, probabilmente, qualche riflessione va fatta anche sullo stesso Presidente dell’Ars che, ultimamente, ha sostituito le sue capacità aggregative con l’opposta dote del dividere. La mancata presentazione alle europee di un candidato che rappresentasse Catania (trombato l’uscente eurodeputato Giovanni La Via) ha creato una frattura insanabile tra gli azzurri e la fuoruscita dal partito di veri apparati di convergenza del consenso elettorale etneo. A livello nazionale, inoltre, il dato di Forza Italia è stato ancora più penoso tanto che il partito si è allontanato, e di tanto, dalla doppia cifra fermandosi all’8,8% dei consensi. La maggior parte, tra l’altro, catalizzati dal leader Silvio Berlusconi che ha più delle fatidiche sette vite dei gatti ma che, evidentemente, non è riuscito a creare un seguito, un’amalgama e una classe dirigente che potesse continuare il suo miracolo italiano.
Per gli altri partiti, in Sicilia come nel resto d’Italia, parla la soglia di sbarramento. E così, non avranno alcuna presenza in Europa né +Europa né Sinistra Italiana così come Europa Verde, Alternativa Popolare, Casapound, Forza Nuova, Partito Animalista, Partito Comunista, Partito Pirata e Popolari per l’Italia.
Adesso, cosa succederà in Sicilia? Inevitabilmente gli equilibri interni a Sala D’Ercole muteranno. Qualche cambio di casacca non è escluso visto che lo sport del salto sul carro del vincitore è sempre il più praticato da molti politici. Il governatore Nello Musumeci, che in questa consultazione elettorale europea ha scelto di restare neutro nella sua area di centrodestra, dovrà certamente rileggere le carte e, più che quelle, le percentuali e le strategie partitiche. Anche se, ne siamo certi, la storia politica, umana e professionale del governatore lascia poco spazio a mutamenti radicali.