Tra passato e presente, fiduciosi nel futuro: come cambierà la Sicilia dopo le elezioni regionali

Tra passato e presente, fiduciosi nel futuro: come cambierà la Sicilia dopo le elezioni regionali

CATANIA – Per gli attenti osservatori della politica non ci sono grosse sorprese. I verdetti che escono dalle urne siciliane, dopo la consultazione elettorale regionale di domenica scorsa, confermano la maggior parte dei pronostici della vigilia. Certamente con qualche distinguo, sicuramente con alcuni entusiasmi ed anche con talune delusioni ed amarezze. Ma nel globale non c’era molto di diverso da attendersi. Adesso, piuttosto, ciò che ci si aspetta è che per questa nostra Terra, bistrattata e desertificata da facili promesse lanciate in politichese e da fallite rivoluzioni spacciate per rinnovamento, possa finalmente esserci la svolta, il rilancio. La speranza al posto della rassegnazione. E tutto ciò passa attraverso le decisioni che, già dai prossimi immediati giorni, prenderà un uomo: il nuovo Presidente della Regione Siciliana.

Nello Musumeci ha dovuto lottare tanto, dai tempi più remoti a quelli più prossimi, per ottenere oggi la realizzazione del suo sogno. Ma in questa trasposizione tra passato e presente, deve essere assolutamente cosciente che il lavoro più arduo ed impegnativo che lo attende è quello futuro. C’è da rifondare, prima ancora che da rilanciare, una regione che per competitività ricopre il 237° posto su 263 regioni in Europa; un’isola nella quale la disoccupazione è quattro volte maggiore della media nazionale; una terra dalla quale i giovani fuggono in cerca di una prospettiva che qui è stata loro negata; un territorio dove la sanità è da terzo mondo, la raccolta differenziata soltanto un miraggio, le infrastrutture lontane dalla più elementare normalità prima ancora che accostabili al progresso tecnologico. Dove la cultura ci regala, come regione del meridione, la più alta concentrazione di siti Unesco e dove la politica è riuscita a rendere vana ed infruttifera anche questa dote divina. Dove il turismo non sappiamo programmarlo e gestirlo fino a trasformarlo in fonte di ricchezza. Dove la spesa pubblica è sinonimo di spreco e clientelismo. E potremmo continuare all’infinito nell’elencazione delle criticità che attanagliano la Sicilia e che l’hanno soffocata ed uccisa.

IL PRIMO DATO CHE EMERGE DALLE URNE. La prima sentenza che ci consegnano le urne di questa consultazione elettorale è proprio questa: la gente è sconsolata, rassegnata, delusa, nauseata. Disaffezionata alla politica e, soprattutto, ai politici. Sarà “qualunquismo” quando li si accomuna facendo dell’erba tutto un fascio. Ma, a dire il vero, loro, i politici che per 70 anni hanno amministrato quest’Isola, non hanno fatto molto, anzi, per sovvertire il giudizio negativo che si portano addosso. E gli ultimi in ordine di apparizione, non si sono sforzati più di tanto nemmeno in questa campagna elettorale, dove ai programmi ed alle proposte hanno preferito l’odio e gli insulti. La battaglia contro l’astensionismo, dunque, non poteva che essere persa in partenza. Tanto che il disinteresse verso le urne si è concretizzato con il dato definitivo dell’affluenza ai seggi: 46,76%, ossia più della metà dei siciliani aventi diritto non sono andati a votare. La prima sfida del neo governatore, dunque, dovrà essere quella di far rinascere la fiducia dei cittadini verso la politica e i politici. Di far sì che quel 53% lontano dai seggi torni ad essere protagonista di scelte e non comparsa sociale.

UNITI SI VINCE, MA CON COERENZA. In un mondo sempre più globalizzato e dove solo col gioco di squadra si ottengono i migliori risultati, la politica non può che sposare e promuovere le convergenze e le coalizioni. A patto che queste siano frutto di programmi, idee e coerenza. E non rispondano solo a regole di interessi personali o di casta. Alle regionali del 2012 il centrodestra si presentò diviso contro un centrosinistra unitario; alle elezioni di domenica scorsa è successo il contrario. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Stavolta il centrodestra ha ritrovato la quadratura del cerchio attorno al nome di Nello Musumeci. Ecco perché la responsabilità morale del neo presidente è ancora maggiore. Non può deludere. Non può esimersi dal ruolo di collante che gli è stato riconosciuto e nemmeno da quello di concreto moralizzatore che da sempre ha ricoperto. Il centrosinistra, invece, paga lo scotto delle guerre fratricide, dell’arroganza, della presunzione, dell’incoerenza. In tutto questo, nonostante si pratichino ancora la caccia alle streghe e il gioco dello scaricabarile, credo che la sintesi sia racchiusa in pochi personaggi di cui queste elezioni hanno decretato, probabilmente, la fine politica: Renzi, Alfano e Faraone.

DA SOLI SI FA STRADA MA NON SI ARRIVA ALLA META. L’ideologia, talvolta, può non bastare per raggiungere gli obiettivi prefissati. La marcia pentastellata in Sicilia può dirsi senz’altro trionfale. Ma non ha portato al traguardo. Il Movimento 5 Stelle è il primo partito dell’Isola (tolto quello dell’astensionismo). Nei consensi ricevuti, stacca di 10 punti Forza Italia e doppia, addirittura, il Pd. Ma sulla poltrona di governatore di Sicilia non porta il proprio candidato. Coerenti alla loro convinzione che non ci si vuole mischiare ai politicanti di professione. Ma a che prezzo. E, soprattutto, possibile che in un mondo certamente poco convincente come quello della politica non si riesca (o non si voglia…) a trovare delle alleanze senza ombre? Probabilmente la premiata ditta Grillo-Casaleggio con l’ambizione di entrare fra qualche mese a palazzo Chigi dovrebbe, specie alla luce del Rosatellum, riflettere su qualche presa di posizione strategica. Così come in Sicilia, forse, Giancarlo Cancelleri, che certamente ha ottenuto un ottimo risultato anche se inferiore all’ambizione manifestata, dovrebbe evitare qualche caduta di stile pre e post elettorale. Renderebbe certamente di più alla propria immagine e, magari, alla causa pentastellata.

L’AGNELLO SACRIFICALE E I SOLITI OUTSIDER. Anche queste elezioni, come spesso accade, ci consegnano l’agnello sacrificale di turno. Una figura onesta, trasparente, per bene. Proprio per questo il Rettore dell’Università di Palermo Fabrizio Micari con la sua semplicità, la sua innocenza e la sua verginità politica, la sua mitezza racchiusa in quello slogan della “sfida gentile” non poteva che interpretare il ruolo di vittima sacrificale. L’agnellino attorniato dai lupi che prima di sbranarsi fra loro lo consegnano a morte certa e cruenta. Una morte politica, ovviamente. Come politico è il suicidio dei soliti outsider ai quali si deve tuttavia riconoscere convinzione, tenacia e ardire. Claudio Fava è uno di quelli che non demorde: ci tenta e ci ritenta. Sapendo che il suo è il ruolo di Davide contro Golia, in una lotta in cui gli manca persino la fionda. Roberto La Rosa, altro candidato presidente da apprezzare per il coraggio e l’entusiasmo, non poteva che ambire, contro gli apparati e i politicanti di mestiere e contro una mancanza di notorietà nemmeno aiutata, se non addirittura offesa, da qualche vetrina giornalistica nazionale, ad un risultato marginale che non poteva discostarsi da quello dei prefissi telefonici.

GUARDARE AL FUTURO CON CORAGGIO E FIDUCIA. Adesso, però, non è più tempo di analisi pregresse ma di proposte proiettate. Stop alle chiacchiere a via all’operatività. Ora lo scettro del potere è nelle mani di Nello Musumeci. Le speranze della Sicilia e dei Siciliani sono riposte in un uomo che ha dimostrato di sapere amministrare quando, per due mandati consecutivi, dal 1994 al 2003, guidò la Provincia regionale di Catania conquistandosi il primato di Presidente più gradito delle province italiane. In quei 9 anni, ha dato forma e consistenza a quello che era considerato un Ente inutile e superfluo, amministrando decine di miliardi. E lo ha fatto, come ha più volte ricordato lui stesso “attraversando la palude senza mai prendere la malaria”, per usare sue parole. Non è mai stato raggiunto da avvisi di garanzia. E quello che dovrebbe essere scontato e rappresentare la normalità, purtroppo, in un mondo come quello della politica diventa motivo di vanto. Partiamo da questi sintetici punti di riferimento. Che poi sono quelli per cui il candidato del centrodestra ha vinto la sua corsa a Palazzo d’Orleans. Diamogli fiducia, pur se mettendolo sotto esame. Ma non mettiamogli pressione. La Sicilia ha bisogno di tanto, lo abbiamo detto, per rinascere. Ma tutti dobbiamo remare per raggiungere l’obiettivo. Senza preconcetti ma con spirito criticamente costruttivo. E vedrete che certamente, col contributo di tutti e annientando la rassegnazione con la speranza, questa nostra Sicilia… beh, è proprio il caso di dirlo: Diventerà Bellissima!