CATANIA – Sin dal primo giorno in cui il nostro quotidiano si è presentato in rete, poco più di un lustro addietro, abbiamo ideato e proposto un giornale che fosse prettamente di servizio prima ancora che di orientamento. Ciò significa che, pur vantando all’interno della nostra redazione giornalisti professionisti con trentennale esperienza e consolidata stima, non ci siamo mai sognati di pretendere di avere il “Vangelo” o di orientare le “masse”.
La nostra idea di comunicazione è sempre stata quella di proporre una informazione a 360° che desse al lettore l’opportunità di conoscere ciò che, attimo dopo attimo, gravita attorno a sé e di dare, nel contempo, ai nostri fruitori la possibilità di farsi una propria idea nel contesto di quella comunicazione.
Evidentemente, il nostro modo di fare giornalismo è stato più che apprezzato. A tal punto che oggi, dopo poco più di cinque anni dalla nostra nascita, siamo il primo quotidiano online regionale con sede a Catania e fra i primi cinque in ambito regionale (fonte Alexa.com). Riceviamo oltre 127.000 visualizzazioni al giorno con i nostri utenti che leggono più di 277.000 pagine quotidianamente (dati ufficiali di febbraio 2020 forniti da Google Analytics).
La premessa, anche se può sembrarlo, non vuole essere una forma di auto celebrazione, pur consapevoli che diverse testate amano promozionarsi con dati fantasiosi ma talvolta sovrastimati e, quindi, una specifica sarebbe opportuna e per questo approfittiamo di questa occasione…
Ma il tema di oggi vuole essere un altro. Forse, adesso, viste le circostanze di cronaca che stiamo vivendo, è il caso non certo di orientare le masse ma certamente di stimolare al massimo alcune riflessioni in taluni che ci leggono.
Si sa che i “leoni da tastiera” proliferano peggio della peste. Ma, oggi, a spaventare deve essere la superficialità e l’improvvisazione con cui si sta affrontando un’altro tipo di epidemia. O, se volete, quella che ormai anche l’OMS si è premurata a definire pandemia.
Il coronavirus ha permesso di conclamare, qualora ce ne fosse bisogno, la valenza del pensiero di Umberto Eco il quale senza mezzi termini ebbe ad affermare che “internet ha dato voce a legioni di imbecilli“. Tuttavia, i lettori contemporanei del web sono sempre più vaccinati e, nella maggior parte dei casi, sanno riconoscere l’effetto Dunning-Kruger ovvero quella sopravvalutazione che gli ignoranti danno a se stessi pur di mostrare agli altri di essere sapientoni ed esperti in materia.
L’Italia, da sempre, è stata la patria dei tuttologi: siamo quasi 60 milioni di tecnici quando gioca la Nazionale di calcio; giudici di Cassazione quando dobbiamo sentenziare sulle colpe altrui; i più esperti economisti se dobbiamo dare le ricette giuste parlando di come far crescere il Pil, (che poi, molti di questi scienziati ritengono che si stia dibattendo su Antonio Albanese quando auspica “chiù Pilu pi tutti“: per loro non fa differenza). Eppure, pontificano, pretendono di sapere tutto di tutti e di ogni cosa.
È proprio quello che è accaduto con il coronavirus. Ma qui la cosa è ben più grave. Già perché a dimostrare incompetenza e superficialità, entrambe sfociate nella presunzione, sono stati coloro che, invece, i problemi avrebbero dovuto affrontarli con professionalità, pertinenza, risolutezza.
Abbiamo avuto un governo centrale che ha pensato bene di “chiudere le stalle dopo che i buoi sono scappati“. L’allarme per l’espandersi del Covid-19 è stato affrontato con la superficialità dei dilettanti o, peggio ancora, degli irresponsabili. Non si è dato voce ai veri esperti in materia, ai virologi, ai professionisti dell’epidemiologia che, da subito, avevano indicato il virus proveniente dalla Cina come qualcosa di più pericoloso del semplice raffreddore. E invece no. Si è data credenza ai leoni da tastiera e a quegli incompetenti della materia che, con la loro arroganza, hanno fatto molti seguaci. Anche fra gli stessi che ci governano e che hanno finito col prendere decisioni tardive.
Non ho dato seguito, nelle scorse settimane, a coloro – e fra questi, purtroppo, c’erano anche degli stimati colleghi giornalisti – che ci hanno accusato di creare allarmismo con i nostri articoli sul male del momento. Siamo stati additati da qualcuno di puntare ai “click”, di fare terrorismo psicologico, di gettare la gente nel panico per “poco più di un’influenza“, ci hanno scritto in alcuni post affiancati ai nostri articoli. Ebbene, speriamo che oggi, questi tuttologi abbiano l’umiltà di chiedere scusa. Non a noi. Non ne abbiamo bisogno. Ma alla comunità, agli italiani, a tutti coloro che – coscientemente o inconsciamente – hanno condizionato negativamente nell’affrontare questa emergenza sanitaria e civica.
E quel che è peggio è che, ancora oggi, non si sta volendo comprendere il livello di pericolosità di ciò che ci circonda. Non si sta prendendo coscienza del fatto che se non cambiamo le nostre abitudini non potremo sconfiggere il Covid-19.
Chiudere le scuole e tenere aperte le discoteche, almeno fino a ieri quando non era ancora stato emanato l’ennesimo ma tardivo provvedimento del governo centrale (o meglio del premier, ad essere più precisi), che senso aveva? Fare i controlli, superficiali, solo in taluni scali aeroportuali e lasciare liberamente il transito a chiunque nei porti, sui treni o sulle autostrade, che senso aveva? Fare trapelare la notizia che tutta la Lombardia e 14 altre province sarebbero state blindate, prima ancora di emettere il decreto e di approntare i dovuti controlli, che senso ha avuto? Già, ma anche qui si sono sbizzarriti i leoni da tastiera, pronti a dare addosso ai giornalisti che la notizia l’hanno pubblicata. Che strani questi giornalisti che fanno il loro dovere, cioè quello di informare, di far conoscere, di mettere a disposizione dei propri lettori tutte le argomentazioni, verificate con fonti ufficiali ma superficiali talvolta, che sono riusciti ad attingere e che sono quegli argomenti di cui i cittadini vogliono sapere.
E, anche questo, ha causato una conseguenza che – probabilmente – ancora non tutti hanno percepito nell’intera Nazione. L’esodo – da profughi, come si è autodefinito qualcuno – dal nord al sud del nostro Bel Paese forse non è stato recepito come una possibile ulteriore e molto più disastrosa calamità. Immaginate, infatti, se fra i tanti emigrati della scorsa notte dalle “zone rosse” verso il meridione ci siano (e purtroppo ci saranno) dei contagiati dal Covid-19. Immaginate cosa potrebbe succedere se, adesso, la velocità di propagazione del virus registrata in questo week end in Lombardia – mille casi di contagio in un solo giorno – si registrasse al sud. Con una Sanità che non ha nulla da invidiare a nessuno ma che manifesta una carenza atavica strutturale come quella siciliana. Come e dove curerebbero coloro che risultassero positivi ai tamponi e vedessero aggravarsi la propria salute fino al punto da dovere essere intubati o ricoverati in rianimazione?
Non vogliamo creare allarmismo, anche se ci prepariamo – e, francamente, ce ne freghiamo – agli attacchi dei soliti ignoranti. Ma vogliamo far riflettere. Com’è nostro stile nel fare comunicazione. Non vogliamo orientare le masse. Non ne abbiamo la presunzione di farlo. Ma da semplici cittadini, prima ancora che da giornalisti, vorremmo invitare tutti a metabolizzare che, in questi giorni, gioco forza, le nostre abitudini di vita devono cambiare. Bisogna essere più responsabili, anche e soprattutto verso i nostri figli, i nostri genitori, i nonni; e, principalmente, verso coloro che, addirittura, inneggiano ed organizzano i “virus-party” credendo, con la loro spacconeria, che nulla potrà loro accadere.
Attenzione, il coronavirus può davvero essere una forma più esasperata di raffreddore. Ma solo se lo si contrasta con saggezza; e lo si sconfigge se si seguono regole rigide, dettate da chi sa fare il proprio mestiere. La superficialità non paga. O meglio, in questa occasione, al contrario, potrebbe farcela pagare a caro prezzo.