AGRIGENTO – Il gup di Agrigento ha condannato per i reati di tortura, sequestro di persona e violazione di domicilio, complessivamente a 31 anni di reclusione, quattro persone coinvolte in una indagine della Procura sui maltrattamenti subiti da alcuni disabili. Le vittime, tutte di Licata, venivano malmenate, a volte legate a una sedia con un secchio in testa e picchiate e poi derise sui social.
Calci, pugni, bastonate e minacce di morte filmati filmato con gli smartphone e diffusi in rete, sui social con post sfottenti. La pena più alta, 9 anni, è stata inflitta ad Antonio Casaccio, a 8 anni è stato condannato Jason Lauria, a 7 ciascuno Gianluca e Angelo Sortino. I quattro agivano proprio come un branco e si accanivano nei confronti dei deboli con comportamenti disumani e degradanti. Le torture avvenivano in pieno giorno e le vittime erano anche minacciate per evitare che denunciassero. In un caso una delle vittime era stata anche quasi data alla fiamme.
I disabili sono stati malmenati, scherniti, addirittura “imballati” con del nastro adesivo e fatti ruzzolare come fossero giocattoli in mezzo alla strada. Le vittime chiedevano aiuto ma a Licata i passanti anzichè prestare soccorso, oppure chiedere anonimamente l’intervento delle forze dell’ordine, si giravano dall’altra parte e acceleravano il passo, con un’unica eccezione: una donna, grazie a lei si è giunti poi alle odierne condanne.
Su Facebook o su Whatsapp i carnefici continuavano a deridere le loro vittime. E sono state le prove schiaccianti con cui il procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio e il pm Gianluca Caputo hanno incastrato i torturatori.
Una delle vittime sarebbe stata colpita con un bastone, legata con nastro adesivo e abbandonata per strada fino a quando una passante non ha liberato il malcapitato. In altre occasioni ai disabili presi di mira sarebbe stato imbrattato il viso con della vernice. Oppure, legati a una sedia con un secchio in testa e picchiati.
“Per strada passavano decine e decine di persone, ma nessuno s’è fermato a prestare aiuto alle vittime, portatori di handicap o incapaci di intendere e di volere – ha evidenziato il comandante provinciale dell’Arma, il colonnello Vittorio Stingo – Non c’è stata nessuna collaborazione e questa indifferenza collettiva per la sofferenza altrui ci ha colpito. Il branco era costituito da giovani, sposati e padri di figli, che riprendevano le loro violenze con i cellulari per poi diffondere i video sui social – ha spiegato – per schernire questi soggetti deboli. Social che da mezzi di comunicazione diventano strumento di diffusione di violenza“.