AGRIGENTO – Duro colpo per 14 persone dell’Agrigentino indagate per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga – per altro, con legale diretto con “Cosa Nostra“. I carabinieri del comando provinciale di Agrigento hanno dato esecuzione a misure cautelari tra carcere e domiciliari ai malviventi.
Maxi operazione antimafia in provincia di Agrigento
L’inchiesta è la prosecuzione dell’operazione che, lo scorso 14 gennaio, ha portato all’arresto di 48 persone e alla ricostruzione dell’organigramma delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento-Villaseta. Due i nomi al vertice: Fabrizio Messina, 49 anni, e Pietro Capraro, 39, entrambi pregiudicati e già noti alle forze dell’ordine.
L’indagine – partita nel dicembre 2024 – ha messo in luce anche la pericolosa capacità di Cosa Nostra di mantenere il comando anche dall’interno delle carceri. Gli investigatori hanno, infatti, documentato l’uso sistematico di telefoni cellulari da parte dei detenuti, che continuavano a impartire ordini e gestire attività illecite con l’esterno, come se fossero liberi.
Ascesa criminale senza ostacoli
Uno dei punti chiave dell’inchiesta è James Burgio, detenuto nel carcere di Augusta e ritenuto il promotore di un’associazione criminale dedita al traffico di cocaina e hashish. L’analisi forense del suo smartphone, sequestrato il 17 dicembre 2024, ha svelato contatti costanti con membri liberi dell’organizzazione, nonché una rapida ascesa criminale che lo ha reso interlocutore paritario di figure come Capraro Pietro e Licata Gaetano, quest’ultimo braccio destro di Capraro.
Insieme, gestivano una rete di narcotraffico attiva nell’intera provincia agrigentina, in contatto anche con membri di “Cosa nostra” palermitana.
Uno degli episodi più eclatanti risale al 27 maggio 2025, quando Cristian Terrana è stato arrestato a Porto Empedocle a bordo di un motociclo privo di assicurazione: con sé aveva 506 grammi di cocaina e 780 euro in contanti. Durante la perquisizione domiciliare sono stati trovati altri 4.880 euro in contanti.
Non solo droga: estorsione e armi per imporre il controllo
L’organizzazione, secondo gli inquirenti, non si limitava al traffico di droga, ma imponeva la propria presenza con atti violenti: estorsioni, detenzione e uso di armi da guerra, incendi, sparatorie e danneggiamenti. Il tutto commesso sfruttando il clima di intimidazione tipico del contesto mafioso (art. 416 bis c.p.).
Nel dettaglio, i sodali sono accusati:
- di aver sparato colpi d’arma da fuoco contro l’abitazione di un imprenditore a Porto Empedocle due volte nel settembre 2024,
- di aver incendiato la sua auto nell’ottobre 2024, per costringerlo a pagare un’estorsione,
- di aver incendiato un’auto a novembre 2024 per intimorire un presunto spacciatore non autorizzato,
- di aver sparato contro un’abitazione a dicembre 2024 per esigere un pagamento legato a una partita di droga,
- di aver esploso colpi di arma da fuoco contro una rivendita di frutta e verdura ad Agrigento, sempre nel dicembre 2024,
- di aver incendiato un’auto a Porto Empedocle per motivi personali (ottobre 2024),
- di una sparatoria intimidatoria a Raffadali ai danni di un’auto (dicembre 2024),
- e di aver colpito con arma da fuoco la saracinesca di un esercizio commerciale a Porto Empedocle.
Le armi in dotazione erano numerose, anche da guerra: i carabinieri hanno accertato l’uso di fucili mitragliatori AK-47, meglio noti come Kalashnikov, in diversi degli episodi elencati.
Durante le perquisizioni del 10 luglio 2025, contestualmente all’esecuzione di altri provvedimenti, si è provveduto al sequestro un fucile mitragliatore Kalashnikov con due caricatori, 16 panetti di hashish (per circa 1,6 kg), un giubbotto antiproiettile e migliaia di munizioni.