Morti bianche in Sicilia: quando arriverà la parola “fine”?

Morti bianche in Sicilia: quando arriverà la parola “fine”?

SICILIA – Ha perso l’equilibrio ed è scivolato in un pozzetto del petrolchimico di Priolo Gargallo. Così è morto Salvatore Pizzolo, 37 anni. Ma lì con lui c’era pure Michele Assente, di 33, suo fedele amico e collega che nel tentativo di salvarlo ha fatto la stessa fine. Anche lui è morto lavorando. A distanza di undici giorni ancora una tragedia: un altro operaio di 52 anni precipita in una stiva della nave di appoggio della piattaforma petrolifera “Vega” di Pozzallo e muore annegato.

Sono queste le ultime tragedie che hanno colpito la nostra isola alcune settimane fa. Ed è sempre questo l’ultimo fardello che portiamo sulle spalle: uomini che muoio per lavorare.

Un dejà vu che quest’anno la Sicilia ha rinnovato altre 39 volte, secondo i dati ufficiali raccolti, e si è aggiudicata il primo posto per il sud Italia, in una classifica che non ci fa per nulla onore: quella delle morti bianche.

Andrea, Marco, Pietro, Vittorio, Vitale e ora pure Salvatore e Michele… questi sono solo alcuni dei nomi che scorrono nella lista delle persone decedute nel 2015 a causa di un incidente sul lavoro. Sono loro gli stessi che non tornano più a casa dai loro figli e dalle loro mogli.

Una maglia nera che non ci invidia nessuno ma che noi indossiamo solo terzi dopo la Lombardia e la Toscana. Ma fermandoci sul locale e analizzando la situazione delle varie province in questo caso il podio va a Palermo con 12 morti, seguita subito da Messina e a cascata da tutte le altre province.

Superficialità e insufficienza della legge. Sono questi i due principali elementi a cui si possono attribuire le cause delle morti bianche. A evidenziare la tragicità della cosa è il segretario generale Cgil Giacomo Rota: “Perdere la vita sul lavoro è un omicidio. I controlli dovrebbero essere più adeguati e chi non segue la legge dovrebbe essere punito severamente. Dal punto di vista della giurisprudenza ritengo che sia assurdo che ci vogliano anni per capire le responsabilità. Ed è altrettanto assurdo che chi viene beccato continui a lavorare”.

“Omicidio”, è questa la parola che colpisce di più. 

“Il problema – spiega Rota – è che il lavoratore è ritenuto sacrificabile: dal punto di vista della sicurezza ci sono delle regole da seguire e che in pochi rispettano. Il tutto, spesso, a causa della lotta che si crea nelle gare d’appalto”.

In soldoni, facciamo un esempio: se per ammortizzare i costi e aggiudicarmi le gare alle quali partecipo, risparmio sul personale o peggio ancora sui macchinari e materiali metto a rischio la sicurezza del mio dipendente. È evidente che un operaio che si trova costretto a lavorare 12 ore al giorno, non avrà mai la stessa reattività di uno che svolge un normale turno lavorativo.

Ed è su questo che bisognerebbe riflettere, considerando che salute e sicurezza sono dei principi non negoziabili.

Affinché si possa assistere a un’inversione di tendenza bisognerebbe semplicemente effettuare controlli più assidui, precisi e attenti.

In quest’ottica, quindi, assumerebbero sempre maggiore importanza le verifiche fatte dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza sul lavoro, che dovrebbero punire severamente chi non rispetta le leggi. 

Ma alla luce delle ultime cronache siamo ancora lontani dal raggiungimento di un risultato che possa definirsi “accettabile”.