“In mano a Cosa Nostra”: la suddivisione della parte occidentale della Sicilia

Una mattina di due giorni fa noi di Newsicilia abbiamo esordito “presentandovi” la divisione, possiamo dire così, di Cosa Nostra in Sicilia, in particolare a Catania e provincia, basandoci su un dossier fornito dalla Dia (Direzione Investigativa Antimafia): clan, operazioni, dichiarazioni e tutto quello che caratterizza, ahinoi, parte del nostro quieto vivere.

Oggi approfondiamo ancor di più questa inchiesta, spostandoci nella parte occidentale della nostra isola: Agrigento, Trapani, Caltanissetta ed Enna.

AGRIGENTO – Cosa nostra agrigentina si presenta, nei profili essenziali, un’organizzazione unitaria, pienamente operativa e ben inserita nel sistema mafioso della Sicilia occidentale, di cui riflette dinamiche e criticità. In merito alle aree d’influenza, vediamo Agrigento strutturata su 7 mandamenti e ben 42 famiglie. Importante è, per la provincia di Agrigento, il riassetto degli equilibri interni, determinato in buona parte dall’arresto dei capi dell’organizzazione e dalle scarcerazioni di importanti sodalizi. Questi ultimi, tornati a piede libero, rivendicherebbero spesso le precedenti posizioni di comando incidendo significativamente sugli organigrammi delle famiglie e conferendo, tra l’altro, una duttilità tale all’organizzazione da poter continuare a “detenere” le proprie potenzialità criminali. Una chiave di lettura degli andamenti criminali della provincia viene dall’operazione Icaro che ha consentito di documentare il consolidamento dell’alleanza tra i sodalizi agrigentini e quelli palermitani. In particolare, tale operazione ha permesso di far luce sui contatti tra il capo della famiglia di Santa Margherita Belice e sugli emissari del supermandamento di San Giuseppe Jato e Partinico. Le investigazioni, inoltre, hanno fornito un quadro molto aggiornato riguardante i vertici e gli organigrammi delle famiglie mafiose di Santa Margherita Belice, Ribera, Cianciana, Montallegro, Campobello di Licata, Agrigento e Porto Empedocle, in grado di “alterare gli assetti imprenditoriali e sociali del territorio, anche sotto il profilo del condizionamento della cosa pubblica”. Quest’ultimo passa necessariamente attraverso la corruzione di soggetti appartenenti alla Pubblica Amministrazione e al mondo economico-finanziario. L’attività estortiva in danno di imprenditori, commercianti e altri operatori economici non rappresenta altro che l’ennesima forma delittuosa più redditizia e ricorrente, fondamentale per la sussistenza dell’organizzazione stessa in quanto viene garantita una cospicua fonte di liquidità e, allo stesso tempo, un capillare controllo del territorio. È noto, peraltro, come la realtà mafiosa agrigentina mantenga propaggini storicamente trapiantate nel continente nordamericano oltre che in Europa, le quali costituiscono presidi operativi per i maggiori traffici illeciti internazionali fornendo supporti logistici ai sodalizi che intendono sottrarsi a conflittualità interne o in caso di latitanza. Uno dei casi più eclatanti è quello avvenuto in Germania, dove uno dei tre responsabili di un omicidio di chiara matrice mafiosa, commesso a Licata il primo gennaio 2015, è stato rintracciato a Colonia e successivamente arrestato. Il mandamento più corposo è quello di Cianciana, dove vi sono dodici famiglie: segue a ruota quello di Campobello di Licata che ne conta sette.

TRAPANI – Nel Trapanese i mandamenti sono 4 e raggruppano 17 famiglie. Queste sono caratterizzate da una forte coesione determinata principalmente dalla presenza del superlatitante, Matteo Messina Denaro. Le consorterie trapanesi operano in sinergia con le più potenti famiglie palermitane con le quali condividono strategie di politica criminale e persino ultra provinciale, sia per la gestione di attività imprenditoriali sia per quelle tipicamente illecite. Il circuito relazionale che continua a proteggere Denaro è costituito da parenti, affini, presunti uomini d’onore, affiliati e fidati prestanome. Le attività investigative, svolte sotto il coordinamento della Dda di Palermo, puntano infatti ad eroderne le fonti di sostentamento, scardinando la complessa catena logistica che lo sostiene. Anche qui c’è un’operazione importante da ricordare: si tratta di “Hermes”, che ha fruttato l’arresto di 11 soggetti ritenuti responsabili di associazione a delinquere di tipo mafioso e favoreggiamento personale aggravato. Le investigazioni sono state orientate, in una prima fase, verso una serie di soggetti che per caratura criminale e ruolo all’interno delle consorterie mafiose trapanesi erano stati individuati come possibili favoreggiatori. Successivamente è stata ricostruita la rete di distribuzione dei “pizzini” diretti al latitante o da questo prodotti per comunicare con i familiari. Tirando le somme, cosa nostra trapanese continua a caratterizzarsi per la spiccata propensione ad infiltrare, anche mediante interposizioni fittizie, i centri di potere e di controllo amministrativo-finanziario per ottenere il monopolio dei settori maggiormente remunerativi, primo fra tutti quello degli appalti pubblici. A questa strategia imprenditoriale si affianca anche il ricorso alle estorsioni: uno strumento di controllo del territorio. Anche in quest’area lo spaccio di sostanze stupefacenti, assieme ai reati predatori, costituisce la principale attività della manovalanza straniera che si colloca, comunque, in posizione subalterna alle consorterie mafiose. Il mandamento maggiore è formato da sei famiglie ed è quello di Castelvetrano.

CALTANISSETTA – Gli attuali equilibri di cosa nostra, caratterizzata nella provincia nissena dalla storica convivenza con la stidda, non sfuggono alla generalizzata opera di ristrutturazione in atto all’interno dell’intera organizzazione criminale siciliana. In questo processo di autorigenerazione, si delineano nuove leadership, condizionate dalle importanti scarcerazioni di uomini d’onore e dalle conseguenti rivisitazioni di assetti e di alleanze. La principale novità, verificabile dagli esiti dell’operazione “Redivivi”, che ha avuto il merito di svelare anche l’ingerenza di Cosa nostra nella gestione del ciclo dei rifiuti, riguarda un tentativo di superamento di vecchi conflitti attraverso politiche d’inclusione, attuato dalla famiglia Rinzivillo al fine di potenziare la propria supremazia nell’area gelese. In particolare, parliamo del progetto strategico avviato dal reggente della famiglia dei Rinzivillo finalizzato a coinvolgere nelle attività della consorteria anche lo schieramento antagonista degli Emmanuello (da tempo comunque in declino), nonché a stringere alleanze per la gestione del traffico di stupefacenti con il clan stiddaro Dominante-Carbonaro, operante nel Ragusano. Nell’ultimo periodo, l’unico omicidio di mafia registrato sarebbe, peraltro, da ricondurre ad un regolamento di conti interno alla famiglia Rinzivillo, cui la vittima risultava affiliata. Sul territorio, cosa nostra conserva la tradizionale suddivisione in quattro mandamenti, sui cui insistono complessivamente tredici famiglie, mentre i clan stiddari (Cavallo e Fiorisi di Gela e Sanfilippo di Mazzarino) manterrebbero la propria influenza nell’area compresa tra i comuni di Gela, Niscemi e Mazzarino. E proprio nel territorio gelese il gruppo Alfieri, recentemente riconosciuto come autonoma associazione a delinquere di tipo mafioso, invisa sia a cosa nostra e sia alla stidda, risulta fortemente ridimensionato anche sotto il profilo patrimoniale. Infine, le investigazioni hanno inoltre dimostrato come la famiglia Rinzivillo avesse ulteriormente rafforzato il proprio controllo del territorio con l’imposizione di un servizio di “guardiania” nelle aziende agricole ubicate nella campagna gelese. Sul piano generale, le attività illecite delle consorterie nissene appaiono connotate da condotte estortive e indirizzate all’infiltrazione nell’economia legale della provincia, con particolare riferimento ai settori dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, delle opere pubbliche e dei servizi. A Caltanissetta, il mandamento di Riesi e quello di Mussomeli sono quelli che comandano in merito a “forze lavorative”, rispettivamente con cinque e quattro famiglie al loro interno.

ENNA – Concludiamo con il capoluogo ennese, che costituisce una storica retroguardia strategica per l’organizzazione di cosa nostra nissena e catanese ed è caratterizzata dalle tipiche espressioni mafiose finalizzate al controllo del territorio, in primis sotto forma di estorsioni, nonché da una fase riorganizzativa dei propri assetti e interessi illeciti. Ormai da tempo vecchi e nuovi boss locali, per imporsi sul territorio, ricorrerebbero ad alleanza con le vicine organizzazioni delle provincie di Catania, Caltanissetta e Messina, non senza però l’insorgenza di conflitti quando quest’ultime manifestano la tendenza ad assumere posizioni di egemonia. La criminalità organizzata ennese, allo stato priva di personaggi carismatici in libertà, continua quindi a risentire dell’influsso dei limitrofi sodalizi mafiosi che spingono sul capoluogo, colmandone i vuoti di potere. In questa fase di “transizione”, in cui si denota la forte assenza di una guida unanimemente riconosciuta, personaggi provenienti dall’area catanese, in particolare soggetti della mafiosa famiglia dei Cappello interessata al controllo della provincia, eserciterebbero da tempo una particolare pressione sui comuni confinanti.