CATANIA – Ridevano e sghignazzavano mentre la vittima si lamentava e li implorava di smettere. È quanto mostrerebbe il video dell’abuso di gruppo ai danni di una giovane statunitense di 19 anni finito negli atti dell’inchiesta a carico di Roberto Mirabella e Agatino Spampinato, entrambi di 19 anni, e di Salvatore Castrogiovanni, di 20.
Il video, ripreso con uno smartphone da uno degli aguzzini, è stato acquisito dai magistrati del pool contro le violenze di genere della procura di Catania in seguito alle indagini dei carabinieri che hanno portato al fermo dei 3 giovani. Per il giudice per le indagini preliminari di Catania, Simonetta Ragazzi, i tre al momento della violenza sessuale erano “lucidi e consapevoli”.
La vittima avrebbe raccontato ai militari che mentre subiva le terribili violenze da parte dei tre ragazzi avrebbe chiesto loro in italiano di fermarsi. Lo stupro, però, sarebbe andato avanti per oltre un’ora. I carabinieri sono riusciti rapidamente a identificare due degli aggressori grazie a un video ripreso dalla 19enne quando erano in un bar. Il terzo nome è stato rintracciato tramite alcuni controlli su Instagram.
Tra i dettagli raccapriccianti della violenza anche la richiesta da parte di uno dei tre stupratori che ha contattato la ragazza per chiederle di vedersi ancora. La giovane avrebbe accettato, ma solo per farsi consegnare il video dell’abuso. La 19enne, infatti, avrebbe detto ai giovani aguzzini di volerlo distruggere prima che lo mandassero in rete.
Dei tre fermati, solo Castrogiovanni si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio di garanzia. Gli altri avrebbero sostenuto che la vittima sarebbe stata consenziente.
Gli arrestati avrebbero anche dichiarato di non aver capito le richieste di aiuto della ragazza. Contro gli accusati, oltre al video agli atti, anche le testimonianze di due baristi che li avrebbero visti con la giovane e le loro voci in sottofondo registrate negli audio che la 19enne disperata avrebbe inviato a un amico per chiedere aiuto insieme alla posizione localizzata dal Gps. Il giovane, chiamato vanamente in soccorso, si sarebbe giustificato dicendo di non potersi muovere in suo aiuto perché sprovvisto di auto.
La ragazza statunitense, inoltre, avrebbe telefonato per 11 volte al 112 (numero unico per le emergenze) senza riuscire a parlare con un operatore. Avrebbe anche tentato di contattare il 911 (numero americano per le richieste d’aiuto). Per i 3 accusati il giudice ha disposto la permanenza in carcere, mentre i loro legali hanno chiesto i domiciliari e la libertà di andare a scuola e al lavoro.