“Non chiamatemi patrigno”, una nuova figura di genitore: il genitore sociale

“Non chiamatemi patrigno”, una nuova figura di genitore: il genitore sociale

I figli sono di chi li cresce”.

Spesso questa frase viene erroneamente attribuita a San Giuseppe a cui è dedicata la stessa “festa del papà”, celebrata per l’appunto il 19 marzo giorno in cui la Chiesa Cattolica celebra il padre putativo di Gesù Cristo. Nell’immaginario comune di molti italiani le prime due figure che vengono in mente pensando al papà sono, per l’appunto, San Giuseppe e Geppetto, due falegnami che hanno molto in comune. Entrambi, infatti, si fanno volontariamente carico di crescere due figli che non sono i loro. Attraverso le difficoltà, però, si prendono cura delle loro famiglie anormali non sottraendosi alle loro responsabilità genitoriali seppur non legati da un vincolo di sangue.

Nell’epoca dello smembramento della famiglia tradizionale è difficile declinare la paternità al singolare. Da sempre la famiglia si è rivelata un’entità elusiva e multiforme. Ci sono tanti tipi di padri atipici che si adattano a una società in continuo divenire con lo sguardo puntato al benessere dei loro figli e spesso i papà crescono figli che non gli appartengono, come si direbbe in napoletano.

In occasione della giornata di domenica, allora, non possiamo che domandarci: che tutela assicura il nostro ordinamento ai papà, soprattutto a quelli che non sono legittimati dalla biologia?

È la CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) a darci una prima risposta. L’art. 8, infatti, dà rilevanza ai rapporti familiari ‘di fatto’,  in quanto meritevoli di tutela alla luce del ‘diritto alla propria vita privata e familiare’.

Nei casi Menesson e Labassée c. Francia e Paradiso e Campanelli c. Italia, la Convenzione ha dato preminenza a una nozione di famiglia che va al di là del carattere biologico del rapporto tra il minore e i genitori.

Tuttavia, con questa presa di posizione non intende negare la particolare rilevanza del legame genetico, ma ribadisce che si tratta di un elemento in presenza del quale lo Stato non può sottrarsi all’obbligo del riconoscimento della filiazione, perché in effetti “genitore è chi si cura del minore”.

E quindi, il nostro ordinamento, come tutela quei padri che non sono papà?

Il rapporto di filiazione viene a crearsi per effetto del concepimento o in conseguenza di un altro fatto idoneo a stabilire un vincolo assimilabile a quello derivante dalla procreazione.

Nel nostro ordinamento, in tema di filiazione, una legge innovativa è stata sicuramente la L. 219/2012 che ha equiparato i figli legittimi a quelli naturali.

Ma, in Italia, nonostante il numero di partner che vivono con i figli minori delle proprie compagne sia in costante crescita, non vi è alcuna normativa posta a tutela di tali soggetti. Il legislatore italiano, infatti, da un lato, definisce espressamente i diritti e i doveri del genitore biologico nei confronti della prole, anche nell’ipotesi in cui si verifichi l’interruzione del rapporto con l’ex coniuge o partner, ma dall’altro, non contempla alcun obbligo giuridico a carico del genitore sociale nei riguardi dei figli del nuovo compagno. Quello che nel gergo viene definito patrigno, infatti, non ha alcun obbligo in ordine al mantenimento, ma neppure ha la facoltà di intervenire nell’educazione del minore, né può prendere decisioni sulla sua salute o sulla sua istruzione. Ciò in conseguenza del fatto che il genitore biologico non perde la propria responsabilità genitoriale, e pertanto i diritti e gli obblighi da essa derivanti non possono essere trasferiti ad un terzo.

L’unico rimedio per il nuovo papà è quello di ricorrere all’adozione del figlio del nuovo partner.

Ma l’adozione  in casi particolari è ammessa soltanto in presenza di determinate e non sempre agevoli condizioni, più precisamente il genitore adottante deve avere almeno 18 anni in più rispetto all’adottando; l’adottando, se ha compiuto 14 anni, deve prestare assenso all’adozione. Se, invece, si tratta di un bambino di 12 anni o di un’età inferiore, deve essere sentito in base alla sua capacità di discernimento; il genitore biologico deve dare il proprio assenso all’adozione. In caso di opposizione ingiustificata o contraria all’interesse dell’adottando da parte del genitore biologico, si procede comunque all’adozione.

È chiaro che tale rimedio non sia sempre di facile applicazione, motivo per cui, spesso, tante situazioni restano irrisolte. È la giurisprudenza a venire in soccorso.  In particolare la Corte Costituzionale, ispirata da quella che è l’impostazione della CEDU, che, appunto, ha allargato la nozione di vita familiare,  ha riconosciuto l’importanza sociale ed educativa del genitore, ponendo al centro della questione l’interesse del minore che deve vedersi riconosciuto il diritto ad un legame affettivo solido e sicuro con il nuovo compagno/a della madre o del padre.

Alla luce di ciò è indubbio che si stiano facendo sicuramente dei passi avanti nel riconoscimento di diritti in capo a quei papà che si sono fatti carico dei figli di altri papà, ma ciò che ci si augura è che il nostro legislatore, conscio del sempre più crescente numero di queste figure e della loro importanza nella vita e nello sviluppo psicofisico di tanti figli,  si renda conto del vuoto normativo che non può essere colmato solo attraverso l’interpretazione giurisprudenziale , che inevitabilmente lascia spazio a vuoti di tutela.

avvocato elena cassella rubrica giustizia