Violenza sulle donne, l’identikit del femminicida e delle vittime: l’analisi della psicologa Ines Catania

Violenza sulle donne, l’identikit del femminicida e delle vittime: l’analisi della psicologa Ines Catania

Le donne non si sfiorano nemmeno con un fiore“, si dice comunemente. Eppure c’è chi le tocca e sicuramente non per fare del bene.

Ci sono tanti modi di fare violenza, non si parla solo di quella fisica (visibile e tangibile), ma anche quella psicologica, che si insinua dentro e non va più via.

Non c’è modo di cancellare il ricordo di un abuso, di uno stupro, di un’aggressione, di un “era solo uno schiaffo” ma che poi, invece, è il risultato di un’ossessione, di un possesso estremo e malato, di una gelosia smodata che non lascia respirare.

Il silenzio non aiuta!

La vittima è sempre la stessa: la donna. Cambiano nomi e volti, non la preda, non il movente. È l’ininterrotta linea sacrificale in cui il maschio, aggressivo e insicuro di sé, timoroso di perdere il suo potere, ‘macchia di sangue l’orizzonte‘”, scrive Fabrizio Caramagna.

Le pagine di cronaca vengono sempre più “sporcate” da dinamiche familiari agghiaccianti, dove l’unico strumento di difesa della donna resta l’azione penale.

Ma, pur avendo giustizia, il dolore, la paura, la sensazione di smarrimento, la preoccupazione di sbagliare ed essere “punita”, restano.

Il silenzio, in ogni caso, non aiuta. Molte non trovano la forza di chiedere aiuto e preferiscono sopperire per paura di eventuali ritorsioni. Occorre, invece, urlare, reagire a un mostro sicuramente più grande ma non indistruttibile.

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Identikit del Femminicida

Ai microfoni di NewSicilia, la psicologa Ines Catania ha tracciato una sorta di “profilo del Femminicida“, trattando il delicato tema della violenza sulle donne da un punto di vista diverso.

Questo identikit può essere uno strumento per riconoscere quelle condotte che sembrano “normali” ma che, in verità, non lo sono. Sono solo camuffate, ma sotto si cela il marcio.

Perché non può esserci giustificazione alcuna per fare del male a una donna o, in casi ancora più estremi, per toglierle la vita.

In molti casi è il compagno o l’ex, comunque sia un uomo che ha condiviso con la vittima una parte di vita, di intimità con la donna che viene adesso “spogliata” della sua personalità, annullata e uccisa.

Colui che dovrebbe proteggerla dai mali del mondo, invece, è l’artefice del destino fatale della donna o le segna tragicamente la vita.

Lei che si era affidata totalmente a lui e che, purtroppo troppo spesso, “giustifica” tutto con “lui è così, però mi ama“. No, l’amore non è mai violento, l’amore è condivisione, tenerezza, carezze, baci… ma non sicuramente pugni, schiaffi, calci e dolore.

Quattro tipologie

Relativamente alle strutture di personalità dell’uomo che commette femminicidio è necessario sottolineare la presenza di fattori predominanti quali la prepotenza, la possessività, forse dettata da panico di fronte alla prospettiva dell’abbandono, ma in ogni caso fondata sulla mancata considerazione dell’altro con i suoi diritti e le sue esigenze“, spiega la psicologa.

La nostra intervistata, quindi, distingue l’aggressore secondo quattro tipologie:

  • Il controllore: colui che teme che il proprio dominio e la propria autorità siano messi in discussione e che pretende un controllo totale sugli altri familiari;
  • Il difensore: che non concepisce l’altrui autonomia, vissuta perciò come una minaccia di abbandono, e sceglie quindi donne in condizione di dipendenza;
  • Colui che è in cerca di approvazione e deve continuamente ricevere dall’esterno una conferma per la propria autostima, mentre qualsiasi critica scatena una reazione aggressiva;
  • L’incorporatore: colui che tende a un rapporto totalizzante e fusionale con la partner, e la cui violenza è proporzionale alla minaccia reale o alla sensazione di perdita dell’oggetto d’amore vissuta come catastrofica perdita di sé.

Questi soggetti devono compensare la propria modesta autostima, ma talora dimostrano veri e propri sintomi“, specifica.

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Identikit psicologico delle vittime di femminicidio

In questo contesto, è importante evidenziare anche l’identikit psicologico delle vittime di femminicidio. Qui subentra, dunque, il lavoro minuzioso e puntuale della psicologa Ines Catania.

Si è osservato come la determinazione familiare e culturale della violenza possa innescare quel meccanismo di ‘propensione alla vittimizzazione‘ che le vittime presentano“, sostiene la psicologa.

Incapacità espressa

Tra le dinamiche individuate nella “passività” delle vittime di fronte ad aggressioni anche ripetute, è stato messo in risalto il concetto di “incapacità appresa”.

Secondo questa ricostruzione, “chi è ripetutamente esposto a una punizione da cui non ha vie di fuga, sviluppa la tendenza a non assumere il controllo del proprio comportamento anche quando tale controllo sarebbe possibile. Tra i motivi per cui queste donne non sanno sottrarsi alla violenza c’è quello del mantenimento della credenza che vi sia mancanza di alternative“.

Intermittenza dell’abuso

Molteplici ricerche sul motivo per cui le donne rimangano in relazioni violente il cui triste epilogo è spesso il femminicidio sono giunte alla conclusione che l’elemento forte che spiega il permanere in una situazione di violenza è l’intermittenza dell’abuso.

Molte donne hanno descritto con espressioni di soddisfazione e gratificazione i periodi di riconciliazione intercorsi tra i momenti di violenza. Questo modello si mostra in sé perverso, in quanto conduce inevitabilmente a ignorare il problema della violenza e a considerarlo un’eccezione, un momento di aberrazione del rapporto che rimane, nella percezione complessiva della donna, come positivo“, sostiene la psicologa.

“Prevenire è meglio che curare”

Doveroso, quindi, ricordare l’importanza di “prevenire” il fenomeno della violenza di genere, piuttosto che agire successivamente.

Ribadisco con forza l’importanza delle campagne di sensibilizzazione, mirate a lavorare su un piano preventivo, riconoscendo e cercando di disinnescare le dinamiche violente nelle coppie ai loro esordi”, conclude la nostra intervistata.