Trent’anni fa la strage di via D’Amelio: il racconto di una ferita ancora aperta

Trent’anni fa la strage di via D’Amelio: il racconto di una ferita ancora aperta

PALERMO – Palermo, 19 luglio 1992. Sono già 30 gli anni passati dalla strage di via D’Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.

Una ferita ancora aperta per il popolo italiano e per la Sicilia; a distanza di anni, una pagina di cronaca ancora piena di dubbi e incertezze.

Ricostruzione

Il 19 luglio del 1992, Paolo Borsellino si stava recando a casa della madre, in via D’Amelio, dove viveva insieme alla sorella del giudice, Rita.

Ad accompagnarlo, anche gli agenti della scorta: Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano e Claudio Traina, tutti deceduti, insieme al giudice, al momento della deflagrazione.

L’esplosione si verificò alle 16,58: una Fiat 126, parcheggiata sotto l’abitazione della madre, imbottita di tritolo, esplose al passaggio del giudice, togliendo la vita anche agli agenti della scorta già citati.

Ci fu un sopravvissuto alla strage. Si tratta di Antonino Vullo, che si salvò in quanto arrivò subito dopo il momento esatto del disastro.

Il giorno dei funerali e le parole di Antonino Caponnetto

I funerali del giudice Borsellino si svolsero il 24 luglio a Palermo davanti a circa 10mila persone, in forma privata, scelta della famiglia in opposizione allo Stato che non ha saputo proteggere il giudice nella sua lotta alla Mafia.

La chiesa era quella di Santa Maria Luisa di Marillac, luogo dove Paolo era solito ascoltare la Messa ogni domenica.

L’orazione funebre fu pronunciata dal “vecchio giudice“, Antonino Caponnetto, che aveva diretto gli uffici di Giovanni Falcone e anche quello di Borsellino durante il loro lavoro a Palermo: “Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi”. 

Molte tensioni alla fine delle celebrazioni, infatti, all’uscita del feretro dalla chiesa. Fu spintonato dalla folla anche il Presidente della Repubblica dell’epoca, Luigi Scalfaro, al grido: “Fuori la Mafia dallo Stato!“.

Le ultime sui depistaggi e su alcuni poliziotti

Pochi giorni fa si è tenuto, al Tribunale di Caltanissetta, un processo in merito ad accuse di tentato depistaggio, contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti indagati per aver manomesso le indagini per fare luce sulla strage del 19 luglio ’92.

L’accusa era quella di calunnia aggravata per aver favorito la Mafia. Il terzo imputato, Michele Ribaudo, è stato assolto perché secondo i giudici il fatto non sussiste.

I poliziotti in questione avrebbero costretto, con pesanti intimidazioni, Vincenzo Scarantino, piccolo spacciatore senza legami con la malavita organizzata, ad autoaccusarsi della strage e a incolpare persone estranee all’attentato.

Il processo partì dal novembre del 2018 per poi protrarsi sino a 100 udienze circa.

Foto di repertorio