Calcio e razzismo, quel filo sottile che da sempre è “in mano” all’ignoranza

Calcio e razzismo, quel filo sottile che da sempre è “in mano” all’ignoranza

ITALIA – Il calcio, così come qualsiasi altro sport o attività che richiede visibilità a livello nazionale e internazionale, dovrebbe rispecchiare dei valori integri da trasmettere alle generazioni più piccole al fine di evitare (o essere consapevoli) episodi che possano essere bollati come da archiviare.

C’è chi lo chiama tifo e li definisce tifosi. Non è così. L’episodio avvenuto durante l’ultima giornata del campionato di Serie A nei confronti di uno steward, preso di mira da un gruppo di tifosi laziali, è l’emblema di un sistema che molto spesso tralascia l’aspetto umano per prediligere quello “materiale”.

Ciò che si è verificato in Lazio-Verona è da considerarsi un’amara realtà. L’ignoranza umana non risparmia nessuno: giocatori, tifosi della stessa squadra, giovani a bordo campo per l’appunto… si può essere meglio di così? Forse la domanda da formulare in maniera corretta è: si può essere peggio di così? Difficile, il fondo è stato toccato da così tanto tempo che la fossa delle Marianne è nulla in confronto.

Noi tutti assistiamo ad un’irresponsabile competizione al ribasso da cui sfociano le dichiarazioni in merito ai frequenti episodi di violenza verbale e reiterate sentenze. Si fatica a capire che la diffusione della civiltà nel proprio ambito è prioritaria e non sostituibile dalle considerazioni scaturite dalle colpe altrui. A questo continuo susseguirsi di “uscite a vuoto” resta l’amara e beffarda cognizione che anche individui più istruiti contribuiscono attivamente alla diffusione dei messaggi di odio.

Il periodo precedente a quello attuale ha fatto tanta fatica ad arrivare a una sorta di accettazione di fenomeni e comportamenti ritenuti alla stregua della normale convivenza civile. Da esso si è arrivati all’elaborazione del ciclo dell’inclusione e, dagli atteggiamenti emersi dalla normale convivenza sociale, è evidente che si sta ritornando al punto di partenza.

In occidente si ha il privilegio di avere democrazia, diritti e libertà, ma se questi valori non rimangono vivi rimangono semplice astrazione. Questa libertà che tanti ci invidiano non deve essere usata per andare contro il prossimo.

Che il pallone sia in grado di unire rotolando senza indugio tra barriere e stereotipi in modo incurante e romantico è un fatto ormai acclarato.

Il calcio può diventare un modello di buona società. In squadra tutti i calciatori vivono la quotidianità come una grande famiglia. Ogni differenza è preziosa perché arricchisce e può portare al cambiamento. Se lo sport sarà in grado di usare le differenze per crescere, allora sarà un beneficio per tutti.

Non dimentichiamoci mai che il calcio ti fa sempre sentire parte dello stesso mondo. Il calcio include, non esclude. È questa la sua grande forza. Anche a livello individuale, la diversità porta l’atleta a migliorarsi.

Qualcosa si sta muovendo in Inghilterra. In Premier League si è partiti da cose concrete per combattere il razzismo. Gli stadi sono stati strutturati in modo da essere accoglienti, disponendo di posti a sedere e abbattendo le barriere per sentirsi tutti partecipi di un rispetto reciproco che non guarda al sesso, razza e genere. Oltre a questo, in un XXI secolo sempre più all’avanguardia la tecnologia è fondamentale per identificare e isolare chi non rispetta le regole.

Come mai il calcio è sempre in prima linea al razzismo? Una prima ipotesi da non sottovalutare è la fama di questo sport che amplifica ogni momento. In secondo piano, invece, lo stadio è per antonomasia il workshop moderno dei rancori vecchi mai spenti.

Le telecamere e la televisione in generale oscurano ciò che andrebbe fatto vedere dalle scuole elementari. Ciò che non si vede, come nei film, può essere molto più interessante di quello che si vede.

Fonte foto cuorejuve.it