Calcio Catania, Vox populi: con il cappello in mano

Calcio Catania, Vox populi: con il cappello in mano

CATANIA – Siamo realisti: a Benedetto Mancini possiamo imputare la principale colpa di aver staccato la spina a un “malato terminale”, senza di lui ci saremmo risparmiati solamente qualche illusione di troppo in un contesto dove, in ogni caso, ci si sarebbe aggrappato a tutto: pantomime comprese. E così è stato. Esaurito argomento “imprenditore” romano, sarebbe opportuno provare a chiarire un’altra questione ancora più rilevante: chi sono i veri colpevoli? Ma da dove dovremmo cominciare? Da quel lontano 23 giugno 2015? Forse sì, forse no.

Perché non dimentichiamo cosa è successo da quel giorno in avanti, tra punti di penalizzazione da recuperare, scalate in classifiche con mancate promozioni per un “palo di troppo”, sedicenti risorse da obliterare, siamo arrivati a un altro 23 ma di luglio e di cinque anni dopo.

“Il Sigi Day” dominava le pagine delle testate giornalistiche sportive e piazza Verga si trasformò in una sala stampa a cielo aperto in un giorno afoso in tutti i sensi dove qualcuno, precisiamo in perfetta buonafede, dichiarò: “Vorrei che la data del 23 luglio 2020 fosse definita come la giornata della libertà, della liberazione per i colori rossazzurri”. In quanti ci abbiamo creduto condividendo, anche noi in ingenua buonafede, il medesimo pensiero?

Quello fu solo l’incipit di una nuova illusione, e di nuovi, futuri, colpevoli da annoverare e affastellare (solo oggi perché è più semplice) in quella pletora che si è ingrossata ad ogni stagione, ad ogni promessa non mantenuta, ad ogni campionato cominciato e concluso con indolente inerzia, anche per puerile timore di ammettere: abbiamo sbagliato, chissà magari con Tacopina…
Giusto per non indicare sempre i soliti noti e in un catartico sussulto di autocritica: vogliamo spostare l’indice accusatore anche su noi giornalisti?

Ma sì, dai, nessuno è esente da colpe… dovevamo essere i famosi “cani da guardia”, il problema che troppo spesso ci si dimentica di “chi?”.

Magari qualcuno troppo “distratto” dal procacciarsi una esclusiva in più ha corso, di fatto, il serio rischio di diventare un “cane da riporto” dimenticandosi essenza ed etica di uno dei mestieri più belli, quanto più difficili, al mondo.

Però, riflettendoci, più che denunciare, descrivere in maniera oggettiva i fatti, come avremmo potuto evitare che tutto ciò, in ogni caso, avvenisse? A questo punto, spinti da questa affannosa ricerca di chi si è macchiato di una colpa così grande, magari un elegante “J’accuse” potremmo rivolgerlo all’imprenditoria catanese senza un briciolo di cuore nei confronti di quella settantacinquenne tradizione rossazzurra?

Bene, bene, ecco forse abbiamo trovato un colpevole, però… a pensarci… non è che al mondo esistono così tanti imprenditori sostenuti, nel loro incedere, da sincere pulsioni emotive senza che le stesse non abbiano un minimo riscontro economico. Spiacenti, ma imprenditore non ha mai fatto rima con cuore, sarebbe la quinta essenza dell’antinomia.

Chi di noi, con un minimo di disponibilità economica, avrebbe rischiato? E i tifosi? dove li mettiamo? Numerose volte tirati in ballo, almeno in questo in maniera paritaria, da tutte le gestioni che trovavano, in ogni abbonamento in meno, in qualche vuoto in più sugli spalti, e in ogni multa per qualche petardo di troppo, una via di fuga per eludere marchiani errori di gestione e palesi limiti di competenze in materia.

Sparare sul mucchio ha sempre portato qualcosa di buono, fosse anche un solo giorno da trascorrere con la coscienza mondata da personali (o)errori.

Nessun colpevole? si tornerebbe al punto di partenza in un gioco dell’oca senza soluzione di continuità. Sinceri: l’intrigo non è di facile soluzione e lo sappiamo tutti che è molto più semplice disquisire sul sesso degli angeli che potere indicare, con adamantina certezza, un vero responsabile di questo disastro sportivo senza correre il rischio di ritrovarci in mezzo a lande deserte attraversate da vuoti carri, sì vuoti, perché quello strapieno del vincitore è già passato e tutti lo abbiamo assaltato negli otto anni di serie A.

Repetita iuvant: tutti. Certo che, tra le inenarrabili umiliazioni subite da questa tifoseria, quella che fa più male, ancor peggio della quasi certa esclusione dal calcio professionistico, è stato il dover assistere a quel devastante gioco a rimpiattino tra curatela fallimentareLega Pro e poi nuovamente Tribunale, in un elemosinare un tozzo di pane che in ogni caso non avrebbe sfamato nessuno, se mai ci sarà concesso addentarlo.

Un umiliante (per noi tutti) veder tendere un tremolante cappello, sostenuto da una ancor più tremolante mano, senza che lo stesso sarà riempito non si sa bene da cosa.

Magari un portare a termine il campionato per poi, quando si dice il destino, finire nei Play Off e non poterli giocarli? Partecipare a due derby con il fianco scoperto, così come le casse della società, alle sfottenti invettive delle tifoserie avversarie per antonomasia? andare in campo solo perché è più semplice che rifare la classifica?

Mutarsi in burattini senza fili per opportune finalità d’altri? No, caro sig. Mancini, cortese Tribunale, distinta Lega Pro, a queste condizioni adesso siamo noi a chiedervi, con l’ultimo rigurgito di dignità, di staccare la spina, l’accanimento terapeutico non ha mai, ribadiamo mai, riportato in vita nessuno, Lazzaro è già risorto, ma più di duemila anni fa e non credo abbia così tanta voglia di ritornare a vivere in questi anni tanto bui.