Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura: “Nei suoi romanzi ha svelato il senso di connessione nel mondo”

Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura: “Nei suoi romanzi ha svelato il senso di connessione nel mondo”

Premio Nobel per la letteratura nel 2017 con la seguente motivazione: “Perché nei suoi romanzi di grande forza emotiva ha svelato l’abisso al di là dell’apparente senso di connessione nel mondo”, Kazuo Ishiguro scrittore di origine giapponese naturalizzato britannico è autore di romanzi e raccolte di racconti “Notturni vincitori di importanti riconoscimenti quali il Winifred Holtby Memorial Prize nel 1982, il Booker Prize nel 1989, il Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel 2009. Nel 2008 il Times l’ha incluso fra i 50 più grandi autori britannici e nel 2021 la rivista americana Time ha inserito l’ultimo romanzo “Klara e il sole” nella classifica “The 100 Must-Read Books of 2021“.

Oggi Kazuo Ishiguro può contare su milioni di lettori affascinati dal messaggio incentrato sul realismo trasparente di uno scrittore con gli occhi a mandorla.

Il romanzo che lo ha reso celebre in tutto il mondo è “Quel che resta del giorno“, da cui nel 1993 è stata elaborata la sceneggiatura del film omonimo con due premi Oscar attori protagonisti: Anthony Hopkins e Emma Thompson, diretti dal regista James Ivory.

Inghilterra inizio ‘900.
La campagna inglese apparecchia una scenografia già destinata a scappare dalle pagine per andare a piedi nudi verso un altrove senza confini, carezzevole è il fruscío della brughiera in contrasto al limite dello sguardo.
Assomiglia al cimelio di un’epoca che non è più l’anziano maggiordomo inglese James Stevens, colui che ha fatto della sua professione il biglietto da visita di un uomo ligio al dovere, irreprensibile nel governo domestico di Darlington Hall. Dopo tanti anni di servizio, Stevens si ritrova dipendente del facoltoso americano Mr. Farraday, il nuovo proprietario della tenuta. È l’inizio di un equilibrio manchevole di rigide fondamenta operose che lo hanno mantenuto per anni in uno stato di benessere. Il bilancio di un vissuto a servizio di Lord Darlington rischia un gelido confronto con il tempo alle dipendenze di un uomo d’oltreoceano.

A placare l’inquietudine nata dal cambiamento si offre la dispensa di una settimana dalla missione operativa di un maggiordomo condotta con il massimo rigore. La perfezione non deve essere distratta perché il maggiordomo Stevens non perdona l’errore. Al volante della Ford di Mr. Farraday, la campagna inglese conquista l’onore di mettersi in viaggio con Stevens accompagnandolo per tutto l’itinerario non previsto alla partenza, ma suggerito dai chilometri divorati uno dopo l’altro.

Non è forse questa un’occasione propizia per rendere ossequio agli interrogativi imboscati nelle tasche di un maggiordomo inglese, chiuso nel suo eremo di doveri per gran parte della sua vita? L’ incanto del paesaggio da cartolina della Cornovaglia si stringe attorno alle debolezze inconfessate di Stevens, i rari segmenti di un giorno spogliato da una sobrietà austera. I ricordi avanzano di pari passo con le ruote della Ford, inscenando una sorta di giostra ora quieta, ora nervosa. Ogni rimorso è severamente bandito, se Stevens non ha mai corso dietro vane futilità è stato solo perché la norma morale andava osservata. Lui stesso è la regola che non ammette infrazioni, un gentiluomo inglese suddito della sua fermezza.

Ogni gesto sottolinea un cerimoniale nelle sue vene sottomesse alla magnificenza dell’Inghilterra elisabettiana, ieri resta comunque un tempo in ritardo per osare, il giorno che verrà continuerà ad accumulare pomeriggi di tè reso amaro dalla malinconia. E qui il pensiero corre veloce a Miss Kenton, governante di Darlington Hall fino al giorno in cui è andata in sposa. Di lei Stevens ricorda con tenerezza le pause condivise in un salottino, a bere insieme cioccolata da una tazza Sheffield, a dirsi e a darsi consigli supplenti di una verità lontana dalle labbra. C’è tanto posto nel cuore…

Ma che senso vi è nel continuare all’infinito a far congetture su che cosa avrebbe potuto accadere se tale o tal altro momento si fosse risolto in maniera diversa? In questo modo, forse, si può condurre se stessi alla follia“.
Due personalità così diverse, addirittura opposte, comprimono il ruolo sociale in un contegno nulla più che devoto, formale per dovere di servizio.

Questa affinità non confessata detta il nodo centrale del romanzo, appena accennato dallo scrittore ma che aleggia sopra le righe tutto il tempo della passeggiata di Stevens e del lettore assunto come suo compagno di viaggio. Il rigore morale può frenare l’impulso d’umana natura, ma cosa ne sarà della tenerezza latente?

Non c’è traccia di luce nel volto destinato a vivere di maschera per sempre, dietro la vetrina umana ogni pensiero dirige la scrematura di parole, le labbra le seguono non prima di un inchino alla selezione dell’alfabeto ammesso nel santuario della dignità. Leggere l’anima di Stevens porta ad interpretare il tormento psicologico di un uomo ipnotizzato dalla livrea rigida e severa come i rintocchi del Big Ben. In ritardo da una vita, le ore di Stevens si umiliano in ginocchio dentro la cattedrale della sua umana vocazione.

Manca l’epilogo romantico, quasi lo si vedeva nuotare felice dentro una tazza di tè in quel salottino appartato di Darlington Hall, un pomeriggio sincero, quando il maggiordomo Stevens e la governante Miss Kenton si presentavano puntuali all’appuntamento delle parole obbligate a non restare.

La storia scorre lenta come l’acqua di un fiume impaurito dal mare, nel lungo percorso tutte le meraviglie della Natura ingannano il prossimo futuro ritardando l’inevitabile: il tuffo a picco nelle acque promesse di false certezze. Il maggiordomo Stevens sa che quella Ford non lo porterà da nessuna parte, cosa può un motore acceso se il fluido dell’essenza vitale rimane nella penombra?

Anche se quel volante girasse a ritroso sarebbe impossibile ripercorrere il verde della campagna inglese con la stessa visuale della fase iniziale del viaggio, perché quando il tramonto si avvicina e ci trova stanchi, forse anche un po’ pentiti del miraggio schivato, non resta altro che godere di “quel che resta del giorno“.

E forse allora vi è del buono nel consiglio secondo il quale io dovrei smettere di ripensare tanto al passato, dovrei assumere un punto di vista più positivo e cercare di trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata. Dopotutto cosa mai c’è da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato“?

 

 

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