Stanchi di essere stanchi

Stanchi di essere stanchi

QUESTO ARTICOLO FA PARTE DEL CONCORSO DIVENTA GIORNALISTA, RISERVATO AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI DELLA PROVINCIA DI CATANIA.

Un pilone. Tanto qui siamo in Sicilia. Ormai non ci sorprende più nulla, non ci sorprendono le scuole che di sicurezza ne hanno ben poca, non ci sorprende un viadotto che crolla in una delle arterie fondamentali della circolazione siciliana.

Quel 10 Aprile non ha avuto lo scalpore che ci si sarebbe aspettato, non ha riempito di vergogna il paese e gli amministratori, ha solo contribuito ad aumentare quel leggero fastidio che ormai si prova quando si parla della situazione in cui ci troviamo.

Noi siciliani, noi italiani siamo il popolo più paziente al mondo, o meglio il più rassegnato, rassegnati al fatto “che non cambierà nulla”, ma qualcosa cambierà, deve cambiare. Perché, se il crollo di un pilone rende impossibile la viabilità in uno dei tratti stradali fondamentali della Sicilia, qualcosa deve scattare quando si scopre che, a più di un mese dal disastro, non è iniziato alcun lavoro, non possiamo rimanere impassibili, non possiamo sopportarlo!

Se guardiamo in faccia la realtà, ci accorgiamo che siamo rimasti senza speranza in un futuro migliore, senza fiducia in quelle istituzioni che dovrebbero rappresentarci e tutelarci. Ma non per questo bisogna starsene seduti sul divano a lamentarsi con la consapevolezza che nulla funziona e che nulla cambierà mai. Non ce lo possiamo più permettere. Non possiamo solo lamentarci e non fare nulla. È ipocrisia. Ed è anche un pensiero assolutamente egoistico. Non ci si può rassegnare, non lo si può fare per il semplice fatto che tutti noi abbiamo il dovere di dare alle generazioni future una speranza. Almeno quella.

Paradossalmente sono proprio i giovani che stanno combattendo, da soli. Sì, sono da soli. Sono da soli quando vengono derisi durante una manifestazione, incitati a tornarsene a studiare piuttosto che urlare, “perché tanto non ci concludono nulla” ed “è solo un giorno di calia”. Certo per alcuni lo è. Lo è per quei ragazzi che ancora non hanno imparato a guardare al mondo con responsabilità, quelli che vivono solo il presente con pura ingenuità. Ma ci sono anche ragazzi che hanno capito che a lamentarsi non ci si conclude nulla e, prendendo ad esempio alcuni moti rivoluzionari dei tempi ormai passati, cercano di farsi sentire, di far comprendere che comunque ancora una speranza c’è. Che bisogna combattere.  O almeno provarci.

Sono i giovani ormai che hanno preso tra le mani il loro destino, destino che molti adulti hanno allontanato ormai sconfitti. Ma da soli non possono farcela. È arrivato il momento di ricominciare a combattere per ciò che si vuole, non essere più dei soggetti passivi, che assorbono tutto quello che viene inflitto loro.

Bisogna iniziare ad attivarsi: informarsi prima di tutto, sulla situazione in cui ci si trova. Organizzarsi. Riunirsi. In una sola parola Attivarsi.

Solo allora non ci sarà più bisogno di lamentarsi. Non ce ne sarà più bisogno perché qualcosa sarà già cambiato.