Stragi “silenziose”: Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro. Quattro domande ai tre segretari generali CGIL, CISL, UIL di Catania

Stragi “silenziose”: Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro. Quattro domande ai tre segretari generali CGIL, CISL, UIL di Catania

CATANIA – Sono vittime del proprio dovere e spesso di avide logiche del guadagno che ottunde coscienze e principi etici a quei datori di lavoro senza scrupoli. Definite anche “morti silenziose” dove, però, il vero silenzio è quello che, impietosamente quanto colpevolmente, riempie il tempo che intercorre tra un triste evento e quello successivo. Sono numeri da capogiro quelli stilati nel recente comunicato stampa CGIL e Filea di Catania senza dimenticare i ben undici  – 11! – morti per incidenti sul lavoro, in meno di quarantotto ore, delle scorse settimane: un record che non glorifica nessuno contornato, inoltre, da un immarcescibile dolore dei parenti delle vittime.

Così, qualche settimana dopo l’ennesima strage, supportati da queste statistiche inaccettabili in un paese cosiddetto civile, proveremo a squarciare questo silenzio rivolgendo quattro domande ai tre segretari generali CGIL, CISL, UIL di Catania dove, la ricerca d’immediate soluzioni coniugata a un concreto agire, sono la struttura portante delle stesse in un tentativo di edificare concrete proposte a un problema che di silenzioso dovrebbe avere ben poco. Cominceremo, per galanteria, dalla “Pasionaria” Enza Melì (UIL) che ci risponde con l’impeto tipico di chi gioca il suo ruolo. Proseguiremo con l’accurata metodicità di Carmelo De Caudo (CGIL) per finire, “the last but not the least”, con il “bellicoso” pragmatismo, supportato dalle statistiche, di Maurizio Attanasio (CISL).

La prima domanda proverà a chiarire una definizione che stride non poco con la sua edulcorata portata semantica, e ci farà da viatico per le altre tre utili a esplorare cosa si cela dietro questa strage non disdegnando di suggerire alcune soluzioni.

Le chiamano “morti bianche” dove l’aggettivo “bianco” è metafora dell’assenza di una mano direttamente responsabile del tragico evento. Tale definizione, spesso alla luce di evidenti responsabilità sulle cause degli incidenti mortali sul lavoro, non le sembra un ossimoro?

Enza Meli (UIL)

È un aggettivo che è un vero controsenso: altro che morti bianche! Perché se è vero che non è la mano che direttamente uccide, è la mano che non rispetta quelle norme di sicurezza a far sì che accadano questi tragici eventi. Invece sono morti rosse perché hanno il colore del sangue, come ha detto recentemente il nostro segretario Bombardieri. Il termine bianco è secondo me un qualcosa che si tramanda da secoli, perché si tenta di rimuovere queste morti come fosse un evento che è meglio dimenticare e c’è chi ha interesse affinché questi incidenti vengano dimenticati quasi, paradossalmente, fosse colpa della vittima”.

Carmelo De Caudo (CGIL)

La terminologia sicuramente non è quella giusta, difficilmente utilizzata dalle organizzazioni sindacali, difatti noi preferiamo definirle “stragi sul lavoro”. Magari è un tentativo di edulcorare l’evento provando a illudersi e illuderci che la “morte bianca” non è provocata da qualcuno che uccide direttamente, ma non è affatto così! Le responsabilità ci sono e sono quelle che conosciamo tutti: quelle gravi delle aziende coniugate a quelle degli organi di controllo”.

Maurizio Attanasio (CISL)

“Errato definirle così, la storia degli infortuni c’insegna che quello sul lavoro frequentemente è accaduto non per mera casualità, ma perché l’imprenditore, e i rispettivi addetti alla produzione, hanno tentato di aumentare, nei medesimi tempi di prima, la produttività. Non dimentichiamo che ci sono altre concause su cui noi CISL siamo molto critici e a tal proposito stiamo presentando alcune proposte al governo. Inoltre, la questione “dell’anno sospeso” ha messo in piedi una ripartenza dove l’imprenditoria, da quella più grande alla più piccola, ha pensato primariamente al profitto piuttosto che salvaguardare in primis l’aspetto umano del lavoratore”.

Si dice che: “un numero più alto di infortuni accertati sul lavoro – fatali e non – non indica per forza peggiori condizioni di sicurezza; può indicare, anzi, una maggiore propensione alla denuncia di taluni accadimenti e dunque paradossalmente una migliore tutela del lavoratore”. Un’affermazione che ci ricorda l’importanza di due essenziali strategie come la prevenzione e le denunce per ridurre il fenomeno. La prima però ha dei costi non indifferenti e, inoltre, poca visibilità mediatica, per la seconda il lavoratore teme eventuali ripercussioni da parte dell’azienda. Come salvaguardare entrambe, necessarie, azioni di contrasto?

Enza Meli (UIL)

Per me sono due cose che devono camminare sempre insieme: denunce da parte dei lavoratori e controlli da parte degli ispettori. Dolente nota è che per fare adeguati controlli, atti a prevenire gli incidenti sul lavoro, ci vogliono… gli ispettori, non fosse altro che il lavoratore che vede che alla sua denuncia non viene dato un seguito, proprio per mancanza di ispettori, è ancora più restio a denunciare quando, ancor peggio, la stessa viene fatta in maniera tardiva. Sapete quante persone denunciano e le stesse rimangono inevase per mancanza di Ispettori? Per questo motivo, un mese fa circa, la UIL regionale ha chiesto al presidente Nello Musumeci di far rispettare le norme sulla sicurezza del lavoro considerando che è di competenza della Regione Siciliana. Ma chi dovrebbe andare a controllore se sono pochissimi gli ispettori considerando quelli che devono rimane in ufficio? Ancora oggi, sempre dal governo Musumeci, non arrivano risposte in merito all’aumento e all’adeguamento della pianta organica degli ispettori del lavoro in Sicilia: 63 in tutto! E solo due a Palermo! Di conseguenza, se non ci sono controlli non c’è il rispetto delle regole. Il nostro Segretario Generale regionale Claudio Baroni recentemente ha dichiarato che: “chi non fa nulla è complice e si macchia del sangue di chi muore”. Un’affermazione forte quanto grave e fino a quando colpiscono gli altri sembrano dei giochi di parole finché l’evento non colpisce noi. Uno dei paradossi è che in Sicilia gli ispettorati sono regionali mentre nel resto d’Italia ci pensa lo Stato a colmare buchi d’organico, mentre qui ci deve pensare la Regione Siciliana con il rischio che questa delicata attività venga penalizzata da una specialità statutaria. E ripetiamo queste cose ogni giorno e non ci stancheremo mai!”.

Carmelo De Caudo (CGIL)

Sulla prevenzione come OSS abbiamo intrapreso diverse iniziative mediatiche, tant’è che sulla sicurezza sul lavoro a breve, CGIL, CISL e UIL, faremo una grande manifestazione a livello nazionale per la denuncia e la sensibilizzazione per ciò che riguarda le morti sul lavoro. Una l’avevamo già fatta noi, pur sotto pandemia, a piazza Università e sempre in maniera unitaria e su iniziativa nazionale dove sono state individuate tre città importanti tra cui Catania. Ribadisco: noi sulla sensibilizzazione e sulla prevenzione siamo sempre “sul pezzo” e in modo serio. Per esempio, abbiamo categorie, come quelle che appartengono alla cassa edile che è un ente bilaterale, dove ritroviamo i lavoratori edili che seguono specifici corsi di formazione sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Inoltre, nelle grosse aziende abbiamo le RLS ed è chiaro che lì c’è prevenzione, perché quella figura aiuta ad evitare che ci si creino i presupposti per un infortunio. Il vero problema che questa formazione non viene fatta nelle piccole aziende dove spesso viene lasciato al caso, e non è mera coincidenza che sono i luoghi di lavoro dove avvengono più incidenti mortali. Anche per ciò che riguarda le denunce il grosso limite non è sulle grandi aziende, ma sempre sulle piccole perché il lavoratore non è propenso a denunciare o per ritorsione o per timore di essere licenziato. Anche in questo caso si torna sempre al discorso degli organi di controllo che hanno la mappatura delle aziende e non attribuisco le colpe all’ispettorato del lavoro ma… al fatto che non hanno personale per fare le dovute verifiche! Lo Stato a livello centrale deve avere la consapevolezza che il problema c’è ed è reale ed è un problema che va arginato perché non deve esistere che io esco da casa per andare al lavoro e non vi faccia più ritorno. Ma è chiaro che bisogna investire nella direzione di un potenziamento degli organi di controllo, perché senza questo nelle piccole aziende è facile la ritorsione”.

Maurizio Attanasio (CISL)

Distinguiamo varie fasi. Noi abbiamo una fase della prevenzione del rischio degli infortuni sul lavoro che è quasi inesistente, perché il tutto si sintetizza a dei corsi di formazione che a volte vengono fatti giusto per “onore di firma” ma che non sono adeguati al sistema effettivo al lavoro che si svolge e comunque a volte sono, mi dispiace dirlo, anche fittizi, atti a camuffare altre realtà. Un esempio è il sistema del “dumping salariale” dove si utilizzano contratti diversi dall’effettiva attività svolta, come l’applicazione del contratto di metalmeccanico al posto di quello edile. Se confrontiamo le indicazioni sul decreto sicurezza con tutte le sue forme applicative, noteremmo che nel contratto d’appalto per i metalmeccanici gli ausili individuali sono sostanzialmente diverse da quello dell’edilizia che, ovviamente, ha parametri di sicurezza più stringenti e con particolari dotazioni antinfortunistiche. Grazie anche alla complicità e disonestà di alcuni consulenti del lavoro, le aziende, per fare maggior profitto, utilizzato questo escamotage favorito anche dai contratti cosiddetti “spazzatura” o quelli non corrispondenti a meccanismi di qualifica e di attività applicando, di conseguenza, parametri di sicurezza non adatti ai rischi dell’attività effettivamente svolta. Questo avviene soprattutto quando si dà lavoro in subappalto, e tutto ciò per abbattere il costo della sicurezza dove quello dell’edilizia è il più alto. Riguardo le denunce e i controlli, se andiamo a vedere chi dovrebbe verificare, dati alla mano dopo una mia personale ricerca, ci si accorge che l’Ispettorato del Lavoro di Catania ha solo, udite, udite, dieci ispettori! a fronte di ottantamila imprese più quelle individuali e queste sono fonti ufficiali. A volte si lavora anche di notte accompagnati dai carabinieri del gruppo NIL. Di questi dieci ispettori, un nutrito gruppo è impegnato nell’attività amministrativa e questo si traduce che solo tre (!) ispettori possono fare le dovute verifiche sul campo, figure professionali carenti di corsi di aggiornamento e da diverso tempo in attesa di una riqualifica. Come CISL Catania abbiamo denunciato più volte questo stato di fatto, non considerando che da anni non si fa una reale statistica che ti permetta di avere una vera storia dell’infortunio che fotografi la situazione di come un’azienda, nel tempo, abbia avuto infortuni dello stesso tipo e da ciò capire se è recidiva. Ne consegue che, non essendoci controlli, non ci saranno nemmeno le sanzioni e i lavoratori sono abbandonati a loro stessi naturalmente restii a denunciare perché rischiano di non lavorare più e questo è gravissimo”.

L’articolo 41 della costituzione recita: “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In antitesi a questo articolo, nelle ultime settimane ci sono stati ben undici incidenti mortali in quarantotto ore (sei morti in un giorno e cinque il giorno dopo), ci può suggerire tre proposte, non cento, ma almeno tre proposte utili per arginare da subito il fenomeno?

Enza Meli (UIL)

Sei anni fa Barbagallo – ex segretario generale UIL – ha lanciato l’idea del reato di omicidio sul lavoro perché è chiaro che queste aziende vanno chiuse, perché chi non rispetta le regole sulla sicurezza, quasi sempre non le rispetta perché ci sono costi esorbitanti e, inoltre, applicandole in maniera seria il processo di lavoro rallenta. Infatti, molti macchinari hanno in dotazione dei meccanismi che salvaguardano la sicurezza del lavoro ma spesso vengo manomessi perché rallentavano il processo di produzione con le conseguenze che possiamo immaginare. Purtroppo, la politica à una palude, un acquitrino dove tutto giace, tutto marcisce, così un disegno di legge, per istituire il reato di omicidio sul lavoro, è rimasto parcheggiato al Senato dal 2017 perché ci sarà qualcuno che frena l’approvazione di questa legge e di certo non sono io che non sono un imprenditore. Altra proposta è quella messa in essere da gennaio dal mio sindacato, una campagna denominata: “Zero morti sul lavoro” – che ha anche l’attore catanese Tuccio Musumeci come testimonial – perché non deve esistere la logica del profitto o dei posti occupazionali quando si gioca con la vita umana. Per ultimo, anche se sembrerebbe scontato, ricordiamoci che se si rispettano le norme di sicurezza, significa rispettare la vita e credo che non ci si possa arricchire sul sangue degli altri dimenticandosi anche di tutti gli affetti che convergono su quella vita”.

Carmelo De Caudo (CGIL)

Una prima proposta è l’improcrastinabile esigenza di costituire un tavolo permanente in ogni prefettura composta dalle sigle sindacali. Contestualmente bisogna, da subito, potenziare gli organi di controllo anche in termini di aumento del personale come ispettori provinciale del lavoro. E ultimo, ma non per questo meno importante, programmare nelle vare aziende la formazione sulla sicurezza sul lavoro perché a causa della pandemia questa non è stata più pianificata in modo consono come lo era prima del lockdown”.

Maurizio Attanasio (CSIL)

Analizzando sempre la storia e quindi la casistica, si notano incidenti dovuti a negligenze, magari causata da una mancanza di educazione alla prevenzione del rischio, ad esempio dove non c’è un vero datore di lavoro. Ancora è poco chiaro che l’educazione non si fa solo con un corso di poche ore, l’educazione si fa man mano che la persona cresce, durante i vari livelli scolastici. Noi come CISL siamo convinti che l’educazione deve cominciare dalle scuole primarie, dalla media in avanti per poi proseguire a tutti i livelli, con gradualità bisogna impartire i principi fondamentali della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Altra proposta è quella d’inserire negli enti della formazione professionale dei moduli obbligatori della salute e sicurezza, moduli presenti in alcuni casi ma non in altri. Poi vorremmo avviare, da subito, una fase di preparazione non solo alla protezione della salute e della sicurezza del lavoratore, perché per salute si intende anche innescare quel meccanismo di salvaguardia dell’ambiente messo a rischio dall’inquinamento causato anche da quei lavoratori incoscienti o meno dei danni provocato dagli effetti sull’ambiente del loro operato. Un’altra proposta l’abbiamo fatta all’ex ministro Treu – adesso attuale presidente del CNEL – dove su circa 760 CCN 420/430 sono i già citati contratti spazzatura che non tengono conto dei livelli delle declaratorie professionali. Urge apportare una modifica a questi contratti, modifica che è ferma al Senato da – troppo – tempo e se fosse approvata andrebbero a cancellare circa 400 di questi contratti che depauperano il lavoratore da tutta una serie di diritti come le malattie e di quei fondamentali principi di sicurezza, sempre allo scopo di far abbassare il costo del lavoro. Perciò io vado oltre la proposta, aggiungendo che sarebbe giusto cancellare dall’albo quei soggetti disonesti che assistono le aziende con contratti di questo genere, e purtroppo a Catania qualcuno che rappresenta l’ordine dei consulenti del lavoro sta conducendo diverse aziende all’applicazione di questa formula di contratto”.

Per ridurre il trend negativo degli infortuni sul lavoro è stata potenziata, nel “Decreto sostegni bis del 2021”, la normativa – art.50 – per gli interventi urgenti sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro tramite il reclutamento straordinario di dirigenti medici, personale tecnico e assistenti sanitari. Non sarebbe il caso di potenziare anche la presenza del sindacato nel mondo della prevenzione magari affiancando, a quelle già esistenti, figure altamente specializzate?

Enza Meli (UIL)

Noi siamo presenti dove possiamo facendo del nostro meglio, ad esempio con dei corsi di aggiornamento dedicati a chi si occupa di sicurezza. Inoltre, ogni volta che esce una legge noi contattiamo quel settore dove possiamo essere presenti e l’aggiorniamo sulle novità. Purtroppo, questa legge sugli RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) non ci permette di entrare in tutti i luoghi di lavoro, né permette agli addetti alla sicurezza di partecipare attivamente nei programmi aziendali per tutto ciò che riguarda la componente sicurezza. Questa è una battaglia che stiamo facendo unitariamente per modificare questa legge, in modo tale che ci possa permettere di essere più presenti e avere pieno accesso nei luoghi di lavoro, magari per essere informati delle iniziative da parte aziendale su questo delicato tema della prevenzione. Mentre allo stato attuale non tutte le aziende permettono i controlli, per tal motivo si è chiesto al governo di cambiare questa legge che non va bene”.

Carmelo De Caudo (CGIL)

La figura dell’RLS è professionalizzata in termini di controllo della sicurezza nel luogo di lavoro grazie ai corsi di formazione che facciamo fare in maniera costante, però sono d’accordo che bisogna potenziare ulteriormente il sindacato con queste figure. Il vero limite, purtroppo, è che non si tratta di un organo di controllo ma è solo un organo di concertazione, pertanto non puoi dire all’azienda “blocca questo macchinario perché è pericoloso o ti applico una sanzione”. Il nostro non è un controllo con potere decisionale ma è solo concertativo. Posso intimare che mi rivolgerò alla Procura, all’Ispettorato Provinciale del lavoro, ma non possiamo agire in maniera concreta, dobbiamo “accontentarci” delle denunce anche se di una certa rilevanza. Ci auguriamo tutti che presto ben venga questo potere che in ogni caso non argina il problema nelle piccole aziende dove non esiste proprio la figura dell’RLS. In queste realtà controllare è compito dell’Ispettorato del lavoro”.

Maurizio Attanasio (CISL)

Sotto questo aspetto ci siamo attrezzati, difatti nel dipartimento abbiamo un esperto, il vero problema sta nel fatto che non siamo presenti in tutte le aziende perché in alcune di queste sono presenti le sigle autonome che non hanno una cultura del lavoro quale può essere, storicamente, la nostra. Le loro sono più sigle di bandiera, di facciata, i cosiddetti sindacato “gialli” e sono dentro quelle aziende che hanno numeri rilevanti. Ad esempio, in una realtà importante con ST ti ritrovi ben quattro sigle autonome che spesso bilanciano o contrastano l’azione di CGIL, CISL e UIL andando a favore dell’azienda per mancanza di cultura. E se non c’è la presenza del nostro sindacato è anche colpa nostra perché spesso chi ci rappresenta, dentro quelle aziende, magari non è riuscito a far prevalere una determinata politica come quella di creare una figura specializzata che va sostenuta con la forma bilaterale. Proprio in questi giorni ho chiesto a Confindustria di riscrivere le relazioni sindacali, perché attraverso gli accordi relazionali sindacali potremmo sviluppare lo stesso principio che abbiamo sviluppato durante la pandemia dove abbiamo messo in campo tutti i meccanismi che avevamo proposto al Governo Nazionale e che poi abbiamo riportato in maniera pedissequa localmente con buoni risultati. Perfino la stessa Amministratrice europea dell’azienda, posta sotto la vigilanza dei sindacati in tema di prevenzione, in un suo documento riconosce il valore di CGIL CISL e UIL messo in essere in quel momento delicato, iniziative che hanno dato un forte contributo alla salvaguardia della salute del lavoratore. Sono state due grandi imprese che hanno riconosciuto il valore della contrattazione aziendale dove non bisogna inventarsi nulla di nuovo, basterebbe adottare i protocolli della sicurezza che non sempre vengono adottati. Noi abbiamo anche le nostre colpe, perché in passato siamo stati poco accorti nel non fare fronte comune rispetto a determinate problematiche, vedi oggi per ciò che riguarda l’argomento green pass nelle aziende e qui da noi da giorno 15 ottobre senza vaccino non entra più nessuno”.

Con la vita umana non si scherza. Non si scherza mai. Questo deve essere chiaro a tutti, molto meno lo è a chi ha fatto delle logiche del guadagno il suo unico scopo di vita. Me se gli incidenti sul lavoro sono il prezzo da pagare per fare aumentare i profitti, è chiaro che bisogna intervenire in maniera seria, immediata e concreta con vere proposte. Ad esempio, potenziando gli organi di controllo, denunciando chi non rispetta le regole, attivando in maniera capillare corsi di formazione e incrementando la presenza del sindacato con figure specializzate nel campo della prevenzione degli infortuni. Questa è la sintesi delle repliche, alle nostre quattro domande, da parte dei tre Segretari Generali CGIL, CISL e UIL di Catania sul fenomeno delle “morti bianche”, pardon, rosse o stragi sul lavoro come ci tengono a precisare. Tutti buoni propositi, ma perfettamente inutili se dovessero rimane solo parole utili a redigere uno dei tanti articoli che provano a smuovere le paludose, insanguinate, acque delle morti… no, degli omicidi sul lavoro. Ogni tanto, davanti a queste tragedie, mettiamo al bando melliflui eufemismi chiamando le cose con il termine più adatto, non fosse altro per il rispetto di chi non c’è più e sempre più spesso per colpe d’altri.