Maltrattamenti in famiglia e stalking: rapporti tra Autorità Giudiziaria e Forze dell’Ordine alla luce della direttiva europea 29/2012

Maltrattamenti in famiglia e stalking: rapporti tra Autorità Giudiziaria e Forze dell’Ordine alla luce della direttiva europea 29/2012

La Direttiva europea 29 del 2012, volta a combattere tutte le forme di violenza sulle donne, in particolare attraverso misure di prevenzione,  è purtroppo spesso ignorata, pur direttamente applicabile dallo stato italiano al momento della sua emanazione in quanto direttiva self-executing.

Essa è strumento di lotta contro i reati di cui oggi la cronaca riporta sempre più casi, essendo stata pensata dal Parlamento Europeo nel 2009 attraverso la risoluzione del 26 novembre proprio per migliorare le politiche nazionali e le normative interne nella lotta alla violenza sulle donne ed al sostegno e assistenza di queste.

Il Questore su specifica indicazione degli organi giudicanti, specialmente se gli imputati sono in custodia cautelare, può chiedere al Tribunale che per competenza si occupa delle misure di prevenzione, idonea misura per evitare che, dopo l’esecuzione della pena, il condannato scarcerato,  continui con una nuova condotta delittuosa.

Si tratta di un modo semplice ma efficace per evitare future condotte delittuose dopo la condanna in quanto il condannato scarcerato può certamente rimanere persona pericolosa per la sicurezza e per la pubblica moralità, così come spiegato nella recentissima sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catania, Sezione Seconda, presieduta dal Consigliere Riccardo Pivetti con a latere le Consigliere Maria Paola Cosentino e Loredana Valeria Ketty Pezzino.

La Corte ha esaminato la condotta di un uomo che per trent’anni ha reiterato maltrattamenti in famiglia, coinvolgendo i familiari con i suoi comportamenti aggressivi e minacciosi, oltre al coniuge; comportamenti messi in opera nei confronti di componenti della famiglia che con successo l’hanno difesa impedendo il peggio a cui, purtroppo, oggi ci si sta abituando.

Questo il quadro della vicenda giudiziaria, troppo spesso con una struttura precisa e ricorrente, ma fortunatamente non finito in tragedia, almeno questa volta.

Pestaggi, violenze fisiche, verbali e psicologiche, totale asservimento, sono esempi di ciò che accade a moltissime donne quotidianamente in tutto il Paese, all’interno della propria casa il più delle volte, senza che si riesca a porvi un freno, malgrado esistano strumenti idonei che molte volte vengono ignorati o male utilizzati. 

Peggio ancora, quando all’indomani di certe atrocità, si è portati a pensare che non ci siano strumenti adatti o che la legge difenda i criminali. Bisognerebbe sapere che invece le “armi” per combattere questi crimini ci sono, solo che vanno usate, o meglio vanno meglio utilizzate, da chi di dovere, con attenzione, come accaduto in questo particolare caso.

Seppur vero che certe fattispecie di reato sono spesso complesse da analizzare a causa dei contorni molte volte non ben definiti, in molti altri casi invece l’intervento dei magistrati e delle Forze dell’Ordine dovrebbe essere quanto più deciso possibile, come nel caso esaminato dalla Corte che ha continuato a rendere operativa la misura cautelare applicata, trasmettendo per eventuale applicazione della misura di prevenzione la sentenza al Questore di Catania.

La Corte di Appello di Catania trasmettendo la sentenza al Questore ha voluto rendere edotto il capo delle Forze dell’Ordine affinché lo stesso possa valutare l’opportunità o meno di chiedere al Tribunale, Misure di Prevenzione, adeguato provvedimento inibitorio al riguardo, mettendo in sicurezza dopo la scarcerazione del condannato, la vittima e la sua famiglia che l’ha difesa con successo.

La vicenda in questione, allora, può costituire un ottimo precedente nell’affrontare e prevenire fatti simili, grazie al coinvolgimento di organi di controllo essenziali come Questura e Prefettura, anche su input preciso della Magistrature Giudicante, in ossequio alla direttiva europea 2012/29 del Parlamento Europeo.

L’applicazione di misure preventive, dopo la scarcerazione, per chi ha subito condanne della stessa tipologia, potrebbe certamente essere uno strumento utilissimo per evitare conclusioni terribili per molte donne costantemente maltrattate tra le mura domestiche.

Si tratta di misura che già è stata proposta dal Questore di Rimini nel recente passato per una vicenda analoga; richiesta fatta propria dal Tribunale di Bologna dopo le verifiche sulla pericolosità successive alla condanna e dopo la scarcerazione per fine pena da parte del condannato.

Spero che sia l’inizio della fine.