“Due Vite” di Emanuele Trevi

“Due Vite” di Emanuele Trevi

La recensione di un Premio Strega cuce addosso l’argento vivo di una suggestione pari a quella suscitata da un’eclissi totale. Il lavoro di cesello deve essere onorato con le virgole adatte alle pause necessarie per l’assorbimento del testo. La vittoria della 75esima edizione del Premio Strega è stata meritata da Emanuele Trevi, lo scrittore che ha portato sull’altare della letteratura italiana la vita (e la morte) di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori e suoi amici prematuramente scomparsi. Il titolo del romanzo “Due vite”, scritto e inciso sulla storica lavagna simbolo della serata finale del Premio, conquista il prestigioso riconoscimento quando già da mesi è considerato la perla delle novità editoriali.

La grandezza dell’opera non è isolata nella scrittura magistrale sul podio della letteratura, ma in una conversazione a sei mani e sei occhi, tutti insieme a fissare un futuro sleale. Gli anni ’80 sono stati generosi con il battesimo di un’amicizia tutelata da una provvista di risorse per annientare il nemico della bellezza plasmata in “affinità elettive” da sfogliare una ad una, in ogni intesa esulta la meraviglia di un rapporto. Rocco Carbone era un insegnante e uno scrittore, nelle sue opere l’ombra del disagio mentale sfugge al segreto, conviverci era quasi un non vivere, forse era proprio tutto questo sentire a sublimare il suo talento.

Pia Pera scrittrice e traduttrice, una donna con la carta d’identità libera di osare come se già conoscesse la fragilità della sua clessidra, Pia forte, Pia delicata, l’incrocio di due opposti in una sola donna, dai libri ai germogli, sceglie di affondare le mani nella nuda terra quando riconosce la fretta del suo paradiso. Un presunto divano di uno psicanalista sembra accogliere un raccolto rigoglioso di ricordi e lampi di immagini per costruire un testo con tre lividi, tre offese dalle curve ingrate della vita.

La malattia del corpo di Pia sembra sfidare quella dell’anima di Rocco. La mente e le gambe claudicanti hanno fretta di riposare, e lo fanno quasi insieme, lui all’improvviso, lei si allontana dalla sorgente a piccoli sorsi, l’ultimo equivale alla prima goccia del suo mare eterno.
Le date di nascita e di morte sono oscurate dal lampo di un frattempo incaricato di mettere nella valigia l’essenziale per il viaggio, basta una luna a metà per parlare di luce. Può un incidente mortale e una malattia degenerativa suscitare vibrazioni tipiche di una poetica della bellezza?

Dio sceglie l’inchiostro per cancellare ciò che mai è stato indelebile, a volte però la vita ritorna sanata dallo spettro pentito di aver strappato un bocciolo di fiore. Come evitare il confronto tra due vite malate in attesa di abbandonarsi al verdetto della sorte? Le catene mentali di Rocco imbrogliano i suoi sentimenti, ora l’umore, ora il terrore di rimanere per sempre prigioniero del guasto. Fragile come un fuscello, Pia è attesa dal bosco scuro, sarà una preda facile da catturare giacché la sua anima è una poesia profumata da virgole pazienti, teneramente distese nel calore di un abbraccio chiamato a proteggere.

Emanuele Trevi sembra deciso a immortalare la bellezza di Rocco e Pia nell’albo del decoro superiore dell’uomo: l’amicizia. La costanza di un affetto non indugia molto lontano dall’afflato amoroso, tra i due pianeti si pone l’ascolto, quasi un terzo gemello corso a  difendere il sigillo di ogni relazione. L’analisi di due vite reclama un portavoce che ha conosciuto i respiri sospesi, i successi e gli inciampi, poi una penna si adopera a raccontare la fioritura dei sorrisi davanti allo specchio tentato di mentire.

Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.

La terza vita non è, come si potrebbe credere, quella di Emanuele Trevi, ma il compendio di tre esistenze fuse in una di immenso valore, tre singoli vissuti vagherebbero ancora tra le righe di pagine anonime dentro un pomeriggio annoiato. Trevi è l’esecutore testamentario dell’eredità letteraria di due amici vedovi l’uno dell’altro, insieme hanno assemblato un puzzle con tessere gemelle, perché l’altalena umorale di Rocco s’incastra perfettamente con le radici ancorate di Pia. Noi lettori siamo eredi di un patrimonio culturale a cui dobbiamo una gratitudine devota per la liberalità ricevuta, non resta sperare che un equilibrio letterario tenga il libro lontano da lettori sbadati.
“Due vite” è un libro breve ed elegante, si presenta in punta di piedi come chi, pur avendo tutto il diritto di sconfinare senza passaporto, bussa chiedendo un’ora d’asilo accogliente.

L’intimità dello scritto confessa le lastre di ghiaccio attorno alla calda umanità di Trevi, un uomo privato dell’energia di due amici chiamati a processo dalla legge inoppugnabile della vita, la generosità nel raccontarli in ogni espressione rallenta il passo al suo nome relegato sulla copertina del libro Saggio biografico o critica letteraria, lo stridio del sipario calato a forza sul talento doveva essere raccontato al pubblico interrotto di Rocco e Pia, l’incidente, la malattia, il vuoto degli orfani di un rapporto.

L’apparire dell’altro non è l’epifania di una reale alterità, ma significa l’emergere di una parte nascosta, o rimossa, della coscienza“. Ed è per questo che interviene la compassione di una penna come un abbraccio seduto sulla panchina ad aspettare il calore divenuto neve, mentre le febbri sono pronte a scivolare nel tunnel del delirio malinconico. “Due vite” è stato proposto al Premio Strega 2021 dallo scrittore Francesco Piccolo con questa motivazione: “Due vite è la storia di tre amici: Emanuele Trevi che racconta Rocco Carbone e Pia Pera, due scrittori scomparsi troppo giovani. Racconta delle sconfitte e delle euforie, dei litigi e dei gesti indimenticabili, delle notti romane; e parla del dolore di averli persi.

Questo libro è il modo di tenerli vicini, anche se il tempo che passa cerca di allontanarli. Le storie, la memoria, la riflessione, le divagazioni e la distrazione – sono tutte caratteristiche della scrittura di Trevi, e della sua capacità di tirarci dentro un tempo e un luogo che non pensavamo ci riguardasse così tanto. Due vite di Emanuele Trevi è un libro capace di trasformare l’intimità e la malinconia in letteratura, rendendole universali a avvicinandole alle vite di tutti. Ed è un libro che non assomiglia a nessun altro. Per questo lo candido con entusiasmo al premio”.

L’albero dell’umanità pulita è risorto grazie al passo indietro di una memoria apparentemente offuscata, dalle radici assonnate, seme dopo seme, la vita ritorna a spargersi sulla terra assetata di domani.