La seconda moglie non può abitare la casa del marito defunto se questa era anche della prima

La seconda moglie non può abitare la casa del marito defunto se questa era anche della prima

La seconda moglie del de cuius non ha il diritto di abitare la casa che quest’ultimo aveva in comproprietà con la moglie di primo letto. Non ha neanche un diritto di uso sui beni mobili e gli arredi in essa presenti. Cambiando radicalmente orientamento, la Cassazione prende questa decisione con sentenza n. 15000/2021. In precedenza, infatti, gli Ermellini avevano ritenuto che la seconda moglie del cuius dovesse versare all’altra l’equivalente monetario del diritto di abitazione.

Il caso

I figli e la moglie di primo letto del defunto chiedevano in primo grado la divisione dei beni immobili occupati dalla seconda moglie. Chiedevano inoltre che questa versasse una indennità per l’abitazione della casa e che la stessa restituisse i beni mobili e i gioielli in essa contenuti.

La convenuta aderiva alla richiesta di divisione, ma in via riconvenzionale chiedeva al Giudice che le venisse riconosciuto il diritto di abitare l’immobile oggetto della controversia. 

Tuttavia il Tribunale rigettava le domande di entrambe le parti e, dichiarata aperta la successione, procedeva alla divisione dell’abitazione. 

La decisione veniva confermata in appello: la comproprietà della casa familiare tra il marito defunto e la sua ex moglie, esclude il diritto di abitazione ed uso degli arredi da parte della seconda moglie.

Ricorso in Cassazione

Non paga, la seconda moglie ricorre in Cassazione lamentando che:

  • la Corte d’appello ha erroneamente interpretato la sua richiesta in appello: questa non aveva lamentato il mancato riconoscimento del diritto di uso, bensì la sua mancata valorizzazione in controvalore pecuniario;
  • la Corte ha omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè la mancata pronuncia circa il riconoscimento dell’estensione del diritto uso anche ai beni mobili che compongono la casa coniugale.

Cassazione: il coniuge superstite non può abitare la casa di cui il marito era comproprietario con la prima moglie

Con sentenza n. 15000/2021 la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Il primo motivo, in particolare, è infondato perché “Non sussiste alcuna possibilità di autonoma “valorizzazione pecuniaria” del diritto all’abitazione e all’uso, che della invocata valorizzazione è elemento prodromico necessario”.

In altre parole, se non viene riconosciuto il diritto di abitare la casa e di usare i beni in essa contenuti, non può procedersi ad una autonoma valorizzazione pecuniaria dello stesso. Per cui escluso il primo, è esclusa anche la seconda.

Nel dire ciò gli Ermellini richiamano la loro sentenza n. 6691/2000. Questa recitava che “a norma dell’art. 540 cod. civ., il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del de cuius o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo (in questo caso la prima moglie e i figli)”.

In conclusione, secondo la Corte è “impossibile configurare quel diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite; il che “implica conseguentemente l’impossibilità di conseguire la richiesta valorizzazione monetaria”.

Ciò postula anche il rigetto del secondo motivo: se non si può abitare l’immobile, non si possono usare i beni mobili in esso contenuti.