“A grandezza naturale” di Erri De Luca

“A grandezza naturale” di Erri De Luca

L’immagine di un nodo al centro della copertina svela, con pacata timidezza, l’incipit del nuovo romanzo di Erri De Luca. Lo scrittore si confessa imputato in un processo dove il reato è “lo spreco del tempo del lettore“. Consapevole delle sue responsabilità, prima di invitare l’attenzione al privilegio del suo inchiostro, Erri De Luca annuncia una risposta a una domanda che nessuno gli ha posto.

Lui non è un padre. Le pagine ancora vergini sono scritte da un figlio perché lui è stato solo un figlio, in tutta la sua vita non ha mai protetto, non ha mai educato, le storie che stanno per schiudersi sono “storie estreme di genitori e figli“. Legami, rapporti, affetti e torti sono aggrovigliati dentro un nodo solo apparentemente stretto, destinato a sciogliersi al suono della voce di un padre, radice di quercia senza tempo verso l’accenno di una giovane foglia errante, un figlio.

Ed ecco una processione di storie affaccendate a dipanare il filo del dissenso, dall’obbedienza di Isacco dinanzi alla legge del sacrificio non contestato dal padre Abramo, a Chagall figlio, frutto determinato a recidere il cordone ombelicale dal suo albero maestro, Chagall padre, dalla figlia di un vecchio nazista inconsapevole di avere un boia come padre che per tutta la vita ha chiamato nonno, fino alla storia “di un figlio condannato a morte senza appello e fin dalla nascita“. Gesù.

L’incipit di una religione si presenta con l’obbedienza di un figlio verso il padre, il corpo sulla croce, ma il sangue innocente ritornerà a scorrere nelle vene come acqua fresca di Madre Terra per l’assetato di Verità, consegnato al mondo dalla resurrezione dello spirito. Infine, come appendice sparsa tra le storie, vigila una confessione ispirata dalle righe gremite di pentimento, l’io dello scrittore vìola la discrezione attraverso il suo nodo “a grandezza naturale” con il padre, dottore in economia, un uomo semplice ma scortato da una legge morale difesa da un rigido equilibrio.

In casa si respira gratitudine per quel poco presente, quasi a farlo somigliare ad una ricchezza non illusoria ma reale, ogni bene è provvidenza perché ha origine dal merito. Di suo padre ricorda le lezioni scritte nelle azioni chiamate ad interpretare il ruolo dell’esempio, consuetudini a somiglianza di uno ius non scriptum di mille anni indietro. Eterno.

Da te, dovevo dirgli, da te ho preso e lasciato, restando figlio tuo, cranio da cranio, libri, vino e montagne. Non mi è uscito. Scriverlo adesso a vita sua dispersa è tacere più profondamente”. Il nodo è intimità, sigillo, possiede il calore dell’appartenenza, il vincolo è invece privazione di libertà, maglie di catene da cui liberarsi con urgenza prima di soccombere sotto il peso della pressione asfissiante.

L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne” (dal Vangelo secondo Marco). La ragione del vivere acquisisce vigore nel nodo prestato a culla dove far crescere e alimentare la simbiosi innata della linfa vitale che fluttua nelle vene, l’eredità della natura dell’uomo troppo spesso è ripudiata con il disconoscimento della paternità profanata dallo schiaffo di un figlio ingrato, marchio di fuoco sul cuore di un padre che lo affida a lacrime copiose per essere cancellato.

Dentro le trame del nodo il futuro non esiste, le battaglie quotidiane di una guerra senza fine decretano il fallimento della radice e del suo frutto, una caduta libera ma insieme, mano nella mano. La paternità non va in pensione. Sono pagine eleganti quelle vergate dalla penna di classe di Erri De Luca, ancora una volta il suo stile presenta l’uomo di stile diventato scrittore.

La città di Napoli lo culla, la montagna lo battezza, sono sue madrine l’aria salmastra e le montagne innevate, lui figlio senza un figlio, padre del suo tempo, della sua porzione di secolo avuta in dote. La sua paternità l’ha delegata a un seme inabissato nel mare, lastre di ghiaccio sono le mani vuote del pescatore giunto al porto senza il frutto della natura.

Né conchiglie, né stelle marine, solo il guscio vuoto di un’ostrica privata della sua perla. Così, accompagnato dalla clessidra impietosa, l’uomo risoluto a non moltiplicare se stesso vede allo specchio la sua immagine statica, quella di un figlio adolescente per sempre. Cento pagine distese sul cuscino rigoroso della coscienza, maestra e alunno ad ogni tramonto si danno appuntamento per la lezione congenita del quarto comandamento: Onora il padre, a grandezza naturale.

Fonte foto Jess Bailey da Pixabay