Scontro Israele-Hamas, una terra nel caos e la strage di civili: non si ferma la violenza

Scontro Israele-Hamas, una terra nel caos e la strage di civili: non si ferma la violenza

ISRAELE – Prosegue l’escalation di violenza tra Israele e Hamas (“Movimento Islamico di Resistenza”, organizzazione paramilitare palestinese ritenuta di matrice terroristica da una parte della comunità internazionale) a cui la popolazione mondiale ha assistito negli ultimi giorni e che fa temere l’inizio di una nuova fase dell’ormai pluridecennale conflitto sanguinoso tra Israele e Palestina.

Come spesso in passato, è la Striscia di Gaza uno dei teatri principali di questo nuovo scontro. Un’ondata di arresti, feriti e morti in una battaglia combattuta nel cuore delle città, con conseguenze nefaste sui civili (gli orrori, purtroppo, non conoscono umanità e non escludono neanche bambini e fragili). Razzi e missili continuano a essere lanciati verso obiettivi sia israeliani che palestinesi. Tra gli ultimi, in ordine di tempo, un edificio di 10 piani, il palazzo al-Shuruk a Gaza City, sede di alcuni media ma distrutto dall’aviazione israeliana in quanto ritenuto “ufficio” operativo di alcuni esponenti di Hamas.

La violenza non si tiene lontana nemmeno dalle strade, diventate luogo di scontri in un giorno che oggi, per la comunità musulmana, sarebbe di festa: si celebra, infatti, l’Eid al-Fitr, che chiude il mese sacro del Ramadan. Tanti i fedeli riuniti nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, diventato luogo di sangue dopo gli scontri e i raid delle forze dell’ordine israeliane di pochi giorni fa.

L’inizio delle recenti tensioni, però, è da individuare prima degli scontri le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. A inizio maggio, infatti, la Corte Distrettuale di Gerusalemme aveva stabilito lo sfratto di alcune famiglie arabe palestinesi residenti nel quartiere Sheikh Jarrah per permettere a degli israeliani di stabilirvisi.

Proprio dal quartiere, che negli anni ha visto una complessa convivenza tra israeliani e palestinesi, sarebbero partiti gli scontri che poco dopo hanno portato agli eventi di Al-Aqsa, all’ultimatum di Hamas e alla violenza diffusa in più aree (visibili nella mappa in basso).

Fonte immagine: Ispi, da Deutsche Welle

La preoccupazione delle autorità locali e internazionali (compresi il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite) per quanto sta accadendo continua ad aumentare, mentre si teme una “terza Intifada” e una vera e propria invasione ai danni della popolazione palestinese, nonché una strage di civili sia israeliani che palestinesi.

Sul fronte geopolitico il momento è complesso e un eventuale conflitto non farebbe che aumentare tensioni mai dimenticate, soprattutto dopo la guerra che nel 1967 portò all’annessione unilaterale di Gerusalemme Est a Israele (esperienza che i palestinesi ricordano come “Naksa“, la “ricaduta” all’origine della seconda diaspora palestinese dopo la prima del 1948, anno della creazione di Israele).

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, infatti, non è riuscito a formare un Governo e potrebbe decidere di mantenere “il pugno di ferro” per mantenere alto il consenso. D’altro canto, la situazione della Palestina è tristemente nota: una nazione ben lontana dal possedere uno Stato stabile e che risente in termini internazionali della sua “debolezza” rispetto a Israele e dell’attività di organizzazioni paramilitari sempre pronte ad alimentare lo scontro con i “nemici” ebraici e occidentali.

La partecipazione dell’opinione pubblica e l’attività social delle autorità di entrambe le parti in conflitto, inoltre, influenzano molto le tensioni: da un lato si trovano denunce delle violenze di Hamas a danno degli israeliani, dall’altro l’hashtag #freePalestine è in tendenza già da qualche ora su Twitter.

Gli Stati Uniti potrebbero giocare un ruolo decisivo, così come potenze da sempre (in)direttamente coinvolte nel conflitto israelo-palestinese, quali l’Iran e la Turchia. Il presidente statunitense Joe Biden sembra mantenersi al momento abbastanza ai margini rispetto a una delle prime crisi geopolitiche mondiali del suo mandato. Solo i giorni seguenti potranno fare luce sulla linea che seguiranno le potenze e le istituzioni diplomatiche internazionali nella speranza di placare le ostilità.

Fonte immagine: Ansa