Vivere sotto dittatura: la quotidianità sotto il Fascismo, la guerra e la liberazione del 25 aprile

Vivere sotto dittatura: la quotidianità sotto il Fascismo, la guerra e la liberazione del 25 aprile

ITALIA – Cosa significa vivere sotto dittatura? Alcuni possono solo immaginarlo, per altri ancora oggi è pura quotidianità. Significa essere privati di potere decisionale, di esprimersi liberamente anche solo attraverso la parola, essere spesso “manipolati” e costretti a leggere la realtà in un unico modo.

L’Italia ha vissuto questa condizione durante il ventennio fascista, concluso simbolicamente il 25 aprile (oggi Festa della Liberazione) con la vittoria dei protagonisti della Resistenza sugli occupanti nazi-fascisti.

Nel giro di circa 20 anni, Mussolini e il Partito Fascista hanno trascinato il Paese in due guerre (Guerra d’Etiopia e Seconda Guerra mondiale), ridotto la libertà di parola e di pensiero (introducendo di fatto risposte violente al dissenso), trasformato significativamente la società italiana e tentato di imporre un modello culturale “fascista”.

La quotidianità del periodo fascista era molto diversa da quella attuale, con restrizioni spesso non evidenti, un controllo minuzioso dell’informazione e attività sorvegliate costantemente, spesso in maniera “subdola”. Parlare di dittatura oggi, specialmente in Italia, non è semplice ed è facile fare paragoni azzardati e/o inopportuni.

Vivere sotto dittatura: la quotidianità del Fascismo

Quando si parla di Fascismo in Italia, si fa riferimento a diverse questioni: le politiche sociali ed economiche, la censura e il controllo politico, le attività e le campagne per proporre uno specifico modello di società, la propaganda, le difficoltà della guerra, l’opposizione inizialmente “silente” e successivamente protagonista della Resistenza.

Sono tante le testimonianze del periodo: giornali d’epoca, racconti diretti dalla popolazione che ha vissuto l’epoca fascista, libri e studi storici. Per questo è possibile conoscere nei dettagli alcuni aspetti della vita sotto dittatura, anche senza esperienza diretta, e immaginare la “normalità” del tempo fascista.

Censura, propaganda e controllo

Ciò che contraddistingue il regime dittatoriale è il controllo. Oggi con i social è facile esprimere le proprie opinioni liberamente: il potere appartiene forse a un gruppo ristretto, ma lo strumento della parola non è negato in nessun caso. Durante il Fascismo, una resistenza attiva e alla luce del sole poteva costare perfino la vita. E anche quando il dissenso non era represso nel sangue, la vita sociale, personale e professionale di un non-fascista era tutt’altro che regolare: riunioni segrete, ostracismo e paura erano la normalità.

Esistevano personaggi pubblici non disposti a scendere a compromessi (come Benedetto Croce, redattore del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”), ma il potere del MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare) era più forte, con lo strumento tipico di ogni dittatura: la censura. Film, libri, opinioni, fumetti: tutto era sottoposto all’occhio attento dei militanti fascisti. Nell’epoca di Internet, sarebbe immaginabile non poter guardare il proprio film preferito o ascoltare certe canzoni. Al tempo, il controllo anche dell’intrattenimento era molto più semplice e “accettabile” di fronte a un regime che, con le politiche sociali, si guadagnava un consenso spesso più forte della voglia di maggiori libertà.

L’eliminazione “informale” del voto segreto guidava il consenso politico, così come la propaganda attenta e studiata nei minimi dettagli. Oggi, nei limiti della legge, ogni cittadino è libero di aderire a una fede politica, religiosa o sociale, mentre sotto il Fascismo la scelta era estremamente ridotta.

Inoltre, andare in giro e vedere certe foto “simboliche” e preparate del “duce” era la normalità, così come osservare quotidianamente dichiarazioni scelte di Mussolini e progetti ampiamente sponsorizzati. I media avevano un’unica voce e titoli e citazioni non erano certo lasciati al caso.

Modello sociale e culturale

Il cittadino “fascista” era formato sin dalla più tenera età. Di decisioni da prendere per i figli i genitori ne avevano ben poche: i libri, le attività sportive e non, la gestione del tempo libero e perfino la fede erano  prerogative dello Stato. Niente scelta su cosa indossare, leggere, fare… il modello fascista prevedeva solo uomini pronti alla vita e alla disciplina militare e donne “angelo del focolare“.

Il corpo della donna doveva essere forte e curato per fare figli da “donare” alla nuova società fascista, il carattere forte per assecondare i bisogni del marito. L’eleganza e la semplicità erano le parole d’ordine: anche le donne dovevano rispondere a dei canoni ben precisi, fatti di poco/nessun trucco e pudore. L’uomo, d’altro canto, doveva essere adatto alle durezze del lavoro e pronto alla militanza.

Oltre all’educazione e all’attività propagandistica del MinCulPop, a plasmare la società ideale secondo il Fascismo era la gestione delle attività del tempo libero. Dal Dopolavoro al fine settimana, dalle feste all’estate, ogni momento era controllato “(in)direttamente” dalle istituzioni fasciste, anche quando non ci si sentiva osservati come con il “Big Brother” di Orwell in “1984”.

Nel ventennio fascista si operò anche un forte revisionismo culturale, che riguardò anche molte opere celebri sia cinematografiche che teatrali e letterarie. Uno dei risultati dell’atteggiamento ostile verso tutto ciò che non fosse “autoctono” fu l'”italianizzazione forzata“: la purezza della lingua era, come la purezza genetica, da difendere a qualsiasi costo. Tutto ciò che appariva anche minimamente “straniero” era disprezzato, annullato, censurato.

Si tentò di cambiare la storia, di sradicare la tradizione multiculturale del Paese italiano per costruirne uno nuovo, destinato, nell’ideologia fascista, a diventare una grande potenza globale. Il finale della storia si conosce già: i progetti fascisti finirono probabilmente già all’inizio della guerra. Una tragedia tale da non poter essere “circoscritta” neanche dalla propaganda, all’origine dell’esposizione di ogni debolezza della dittatura fascista e della conseguenze reazione di chi poi con la Resistenza ha determinato la fine dell’oppressione, talvolta anche a costo della vita.

Conclusione

Conoscere la dittatura è il modo migliore per evitarla, così come immaginare la quotidianità della dittatura evita di compiere errori di valutazione storica e contribuire a un futuro senza regimi oppressivi e ostili al rispetto dei diritti umani.

Il dibattito della Festa della Liberazione dovrebbe essere incentrato proprio su questo: contrastare la dittatura, elogiare e rispettare la libertà in maniera equilibrata, sperare che una quotidianità come quella sotto dittatura rimanga per l’Italia (e non solo) un ricordo storico.

Fonte immagine: Wikipedia