“Al voto!”, 76 anni fa le donne italiane conquistavano il suffragio universale: il diritto che mancava

“Al voto!”, 76 anni fa le donne italiane conquistavano il suffragio universale: il diritto che mancava

ITALIA – Parlare di uguaglianza tra uomini e donne nel 2021 può sembrare un discorso scontato, ma non è così.

Se ancor oggi fatichiamo a dare una risposta univoca sul tema, risulta decisamente più complesso riuscire a immaginare lo scenario nel quale prendevano piede le prime lotte per l’emancipazione femminile nel nostro Paese tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900.

Ancor oggi la strada verso la conquista della parità dei sessi in Italia non è stata ancora percorsa completamente e i passi iniziali sono stati compiuti su un terreno impervio e irto di ostacoli già al tempo della costituzione dello stesso Stato.

Rose Montmasson, una su Mille

Con l’Unità d’Italia del 1861, in pieno periodo risorgimentale, una delle poche donne a inserirsi tra le pagine storiche dell’allora neonata Nazione è Rose Montmasson, moglie di Francesco Crispi. Nativa dell’alta Savoia, “Rosalia” è l’unica donna a unirsi, fingendosi uomo, alla spedizione dei Mille di Garibaldi alla volta della storica spedizione di Marsala.

Tuttavia, la donna viene successivamente “dimenticata” dal marito in piena ascesa politica e relegata a un ruolo di subalternità. Nello stesso periodo nel nostro Paese iniziano a emergere, i primi movimenti nati per spezzare – o quantomeno ammorbidire – quelle catene sessiste che determinavano una dura posizione di inferiorità della donna nei confronti dell’uomo.

Il diritto di voto negato

Comunque sia, il riscatto del genere femminile in Italia avviene in forte ritardo rispetto al resto del continente. In altri Paesi europei, come nel Regno Unito e in Francia, i movimenti di emancipazione femminile rivendicatori del diritto di voto calcano già da diversi anni le strade delle principali città ma vengono spesso soffocati dalle rimostranze della polizia che rispondeva con violenze e arresti.

Il ruolo della donna in Italia inizia a mutare parzialmente solo con l’avvento del XX secolo in virtù della nuova fase di industrializzazione e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Chiave è l’ingresso della manodopera femminile nelle fabbriche in sostituzione degli uomini impegnati al fronte.

L’umiliazione in epoca fascista

Il fascismo è sinonimo di sventura per le donne italiane. La riforma Gentile del 1923 le mortifica pesantemente, così come fanno molte delle mosse decisioniste di natura mussoliniana. Alle donne viene tolta ogni opportunità di autodeterminazione, è negata loro la possibilità di insegnare nelle scuole medie e secondarie e finiscono segregate nelle case.

Le mogli vengono quindi ridotte all’obbedienza patriarcale per soddisfare le pulsioni autoritarie dello Stato che fa l’occhiolino allo slogan nazista “Kinder, Küche, Kirche” (“Bambini, Cucina, Chiesa“). La devozione alle faccende di casa e alla procreazione viene impartita fin da bambine come strumento di esaltazione nazionalista.

Emblematico è il caso del “Decalogo della piccola italiana” del 1929 che indottrina le figlie femmine con enunciati anacronistici del tipo “la  patria si serve anche spazzando la propria casa” e “la donna è la prima responsabile del destino di un popolo“. Dei diritti, ovviamente, non ve n’era traccia alcuna.

Donne e Resistenza

La Resistenza rivaluta l’immagine delle donne, le quali assumono un ruolo attivo e preponderante nella battaglia al nazifascismo. Sono loro a intervenire in soccorso dei partigiani feriti, a procurare cibo e a rifornire militarmente i combattenti.

È in questo contesto che emerge la figura della staffetta partigiana, necessaria per aggirare posti di blocco e favorire le comunicazioni. La giovane Tina Anselmi della brigata Cesare Battisti – e in seguito prima donna ministro in Italia – è una di queste.

Con la costituzione del Governo di Liberazione Nazionale si torna finalmente a discutere dell’estensione del diritto di voto alle donne. Si rivela propizia la spinta dell’Unione Donne Italiane (UDI), associazione nata proprio durante il movimento di lotta popolare che segnala all’esecutivo la discussione dell’importante tema.

Il voto concesso e le prime elezioni “gender equality”

La proposta viene portata sul tavolo del Consiglio dei Ministri del 30 gennaio 1945 da Palmiro Togliatti del Partito Comunista e da Alcide De Gasperi della Democrazia Cristiana. Il diritto di voto viene finalmente concesso alle donne, seppur con l’esclusione delle minori di 21 anni e delle prostitute. A livello europeo, l’Italia è tra gli ultimi Stati del ‘900 a riconoscere tale spettanza.

Una mappa che mostra l’anno di ottenimento del diritto di voto alle donne a livello internazionale. Fonte: Reddit.com

Il 1° febbraio 1945 viene emanato il relativo Decreto legislativo luogotenenziale n. 23, mentre 10 marzo 1946 viene promulgato il Decreto n. 74 che permette alle donne di presentarsi a una competizione elettorale e di essere elette. L’esercizio del voto avviene in occasioni delle Amministrative del 1946, le prime elezioni dopo la caduta del fascismo e a suffragio universale.

Al Referendum del 2 giugno 1946 sono 226 le donne candidate alla Costituente. Ne vengono elette 21 e cinque di queste entrano a far parte della “Commissione dei 75”: Maria Federici (Gruppo democristiano), Angela Gotelli (Gruppo democristiano), Nilde Iotti (Gruppo comunista), Teresa Noce (Gruppo comunista) e Angelina Merlin (PSI). Proprio a quest’ultima si deve l’Articolo 3 della Costituzione che sancisce la parità di genere tra i sessi.

Fonte immagine: luccaindiretta.it