Piersanti Mattarella, il sogno di una Sicilia “con le carte in regola” finito nel sangue

Piersanti Mattarella, il sogno di una Sicilia “con le carte in regola” finito nel sangue

PALERMO – Piersanti Mattarella credeva in una Sicilia libera dal giogo di favoritismi, clientelismi, e omertà, nelle parole che diventano fatti, nella legalità. Ma il sogno di una terra liberata dalla corruzione è finito nel sangue la mattina del 6 gennaio 1980, quando un sicario lo ha freddato con sei colpi di pistola davanti alla propria abitazione, al civico 147 di via della Libertà.

Era il giorno dell’Epifania e per suo stesso volere, come tutti i giorni festivi, non aveva accanto a sé nessun agente di scorta: “Anche loro hanno il diritto di stare con la propria famiglia”.

L’omicidio di Piersanti Mattarella

Il presidente della Regione Siciliana era appena salito a bordo della propria Fiat 132 con la moglie Irma Chiazzese, la suocera e la figlia Maria. Stavano per andare a messa. Il figlio Bernardo lo aveva aiutato a fare manovra per uscire dal garage e stava per chiudere il cancello. È in quel momento che un sicario si avvicina al finestrino di Mattarella e fa fuoco. La moglie resta ferita a una mano nel disperato tentativo di proteggerlo. Il fratello Sergio (futuro presidente della Repubblica Italiana) accorre in pochi minuti. Mentre la folla si accalca attorno alla macchina, estrae il corpo morente di Mattarella, un istante drammatico catturato e cementificato nella memoria collettiva dall’obiettivo della fotografa Letizia Battaglia. La corsa all’ospedale Villa Sofia è vana. Il presidente della Regione Siciliana si spegne in pochi minuti. Aveva 44 anni.

Con la sua morte si interrompe la stagione di rinnovamento che aveva promosso all’interno della politica siciliana.

Piersanti Mattarella Sergio Mattarella 6 gennaio 1980

Fonte foto: Wikipedia (scattata da Letizia Battaglia)

La carriera politica

Figlio maggiore di Bernardo (allievo di don Luigi Sturzo, stretto collaboratore di Alcide De Gasperi e più volte ministro con la Democrazia Cristiana), Piersanti Mattarella nasce a Castellammare del Golfo il 24 maggio 1935.

La sua carriera politica inizia nel 1964, quando a novembre viene eletto consigliere comunale tra le file della DC. È il periodo dello scandalo noto con il nome di “Sacco di Palermo” (la sfrenata corsa alle speculazioni edilizie che stravolse la fisionomia urbanistica della città, a scapito di aree verdi e prestigiose ville Liberty).

Nel ’67 diventa deputato regionale. Ha il sostegno di Aldo Moro, suo maestro. Rieletto nel ’71 e nel ’76, fino al ’78 è assessore regionale alla Presidenza con delega al Bilancio.

Il 9 febbraio 1978 è eletto dall’Ars presidente della Regione con 77 voti su 100. Guida una coalizione di centro-sinistra con l’appoggio esterno del Partito Comunista Italiano. Ed è proprio l’aver coinvolto il PCI nel governo regionale, insieme all’aver rimosso clientele e favoritismi, che saranno recepiti da mafia, centri di potere occulti e comitati d’affari come una sfida intollerabile al loro tacito ma saldo predominio. L’interesse comune come oltraggio supremo a chi invece punta solo al vantaggio personale.

Le riforme di Piersanti Mattarella

Mattarella, sguardo pulito ma deciso, si impegna infatti a riformare la burocrazia. Disegna per la Regione un’amministrazione moderna che punta agli investimenti produttivi per favorire la crescita economica dell’Isola. Una vera e propria rivoluzione per contrastare quelli che il presidente considera i nemici della Sicilia: il sottosviluppo e la presenza mafiosa negli ambiti istituzionali.

La sua azione riformatrice, promossa con lo slogan della Sicilia “con le carte in regola“, è travolgente, l’elenco delle riforme e dei provvedimenti approvati corposo. Dimostrando competenza nella gestione della cosa pubblica, ottiene il rafforzamento dei poteri del Presidente della Regione a scapito degli assessori, che si comportano più come signorotti feudali interessati a promuovere decreti utili ai propri territori di provenienza che non a contribuire al reale sviluppo di tutta l’Isola.

Riesce anche a far approvare la legge urbanistica che abbassa gli indici di edificabilità dei terreni e dispone ispezioni e controlli sui collaudatori delle opere pubbliche e sugli appalti. Duri colpi, questi, per i clan mafiosi ormai “investitori” consolidati nel campo dell’edilizia ed “esperti” di appalti pubblici.

Lo scontro con Cosa nostra

L’esponente della DC si schiera apertamente contro Cosa nostra in più occasioni. Sia durante una visita a Cinisi poco dopo l’uccisione di Peppino Impastato (nel corso della quale pronuncia un discorso durissimo contro la mafia), sia quando il deputato comunista Pio La Torre attacca duramente l’Assessorato all’Agricoltura, additandolo come centro della corruzione regionale. Il presidente stupisce tutti con la sua risposta, riconoscendo la necessità della correttezza e della legalità nella gestione dei contratti agricoli regionali.

Piersanti Mattarella è consapevole dell’importanza delle riforme che sta mettendo in campo e dei malumori che sta suscitando tra i suoi avversari, noti e nascosti. Anche all’interno del suo stesso partito, in quegli anni dominato in Sicilia da due figure non limpide: Salvo Lima e Vito Ciancimino. E sa di agire in mancanza di colui che rappresentava l’appoggio fondamentale alla sua iniziativa riformatrice. Pochi mesi dopo il suo insediamento, infatti, Aldo Moro viene rapito e ucciso. Il compromesso storico (il riavvicinamento tra PCI e DC, che lo stesso presidente siciliano ha messo in atto nella sua giunta in nome della cosiddetta “solidarietà autonomistica”) perde uno dei suoi protagonisti principali. È la fine. Di lì a breve arriva la crisi di governo. Mattarella, però, riesce a dar vita a una nuova giunta di centro-sinistra, stavolta senza l’apporto esterno del Partito Comunista. È il marzo 1979.

La visita del presidente Sandro Pertini e lo storico discorso contro la mafia

Non basta, sa di aver bisogno di far sentire la presenza e l’appoggio concreto dello Stato. Chiede allora al Presidente della Repubblica Sandro Pertini di venire a Palermo, un invito che si concretizza nella visita ufficiale di novembre.

In quell’occasione pronuncia un discorso storico che ha già il sapore del testamento: “L’immagine complessiva della Sicilia è quella di una regione che lotta per se stessa e per il Mezzogiorno, in stretta connessione con le altre regioni, in particolare con quelle a statuto speciale. Ma anche quella di una regione che vuole mettere ordine nelle proprie strutture e attività, che stimola al suo interno ciò che vi è di positivo per una mobilitazione civile e democratica diretta al suo definitivo sviluppo.

Abbiamo ancora dinnanzi a noi ostacoli e resistenze notevoli e non ce ne nascondiamo il peso. Primo fra tutti la recrudescenza del fenomeno della mafia che, seppure con caratteristiche diverse dal passato e oggi assai simili a quelle comuni ai fenomeni di delinquenza presenti nelle società sviluppate, si ripresenta con tracotanza in questi mesi a turbare lo scorrere ordinato della nostra vita civile. Occorre fare un appello alla coscienza individuale, oltre che ovviamente a tutti gli strumenti del pubblico potere, per affrontare questa dura battaglia. Occorre che i comportamenti di ciascuno siano coerenti con questo obiettivo e noi le chiediamo, Signor Presidente, di associare al nostro il suo richiamo, reso forte anche dalla sua alta coscienza politica e morale, per un livello più alto di convivenza civile. Affinché ciascuno, ogni giorno, isoli e respinga i comportamenti mafiosi e non si pieghi ad essi”.

“Spero di farcela, e presto”

Eppure sente che il cerchio si sta stringendo, che presto qualcuno verrà a reclamare un pagamento di sangue per l’omertoso equilibrio politico che ha osato stravolgere e correggere in favore di una più corretta e trasparente gestione. Consapevole che i rapporti mafia-politica vanno troncati proprio laddove nascono e proliferano, vale a dire nelle inefficienze della pubblica amministrazione. Ma ad essere stata troncata è stata solo la sua vita.

I nodi sono molto grossi, le armi appaiono spuntate: spero di farcela, e presto”. Titolava così l’ultima intervista concessa dal presidente solo poche ore prima del suo omicidio. Qualcuno aveva già deciso che il tempo era scaduto.

Chi ha ucciso Piersanti Mattarella e perché?

Chi ha ucciso il presidente Mattarella e perché? Lo chiede anche il cardinale Salvatore Pappalardo, il cui grido risuonerà in tante tragiche omelie che si rincorreranno nella storia di Palermo: “Perché è stato ucciso Piersanti Mattarella? Una cosa sembra emergere sicura ed è l’impossibilità che il delitto sia attribuibile a sola matrice mafiosa. Ci devono essere anche altre forze occulte esterne agli ambienti pur tanto agitati della nostra Isola”.

Pure Leonardo Sciascia allude immediatamente a “confortevoli ipotesi” che avrebbero potuto ricondurre l’omicidio alla mafia siciliana.

Condanne, assoluzioni e indagini complesse

Il delitto è ancora oggi avvolto nel mistero. Nel 1999 è stata emessa la condanna definitiva all’ergastolo quali mandanti dell’omicidio per i boss Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Nené Geraci e Francesco Madonia. Tutt’ora però la giustizia non ha individuato mandanti esterni ed esecutore materiale. Quest’ultimo nonostante la vedova Mattarella abbia riconosciuto il killer in Giusva Fioravanti. Il terrorista della destra eversiva e membro dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) coinvolto nella strage di Bologna, è stato infatti assolto dopo che la testimonianza di Irma Chiazzese è stata considerata inattendibile. Sulle sentenze pesano anche le dichiarazioni dei pentiti Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia, che hanno negato coinvolgimenti esterni a Cosa nostra nel delitto.

Lo stesso Giovanni Falcone, che nel 1988 era giudice istruttore, davanti alla Commissione Antimafia dell’epoca ha parlato di “un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se, e in quale misura, la pista nera sia alternativa a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa.

A 41 anni dall’omicidio restano ancora numerosi punti interrogativi, ma una cosa è certa: Piersanti Mattarella era amato dai siciliani onesti. Nella sua vita aveva dimostrato coraggio e rettitudine, le armi che usava contro i soprusi, le violenze e la logica dell’odio. Il suo delitto attende ancora giustizia e verità.

Fonte foto: Facebook – Associazione Memoria e Futuro