Coppie invisibili: diritti visibili? I diritti dei conviventi non registrati

Coppie invisibili: diritti visibili? I diritti dei conviventi non registrati

ITALIA – La legge n. 76 del 20.05.2016 ha rivoluzionato, si sa, il mondo delle convivenze more uxorio tracciando un importante spartiacque tra convivenze di fatto registrate e convivenze non registrate (coppie di fatto).

Oggi, infatti, la legge riconosce svariati diritti alle coppie di conviventi il cui rapporto sia in qualche modo reso “visibile” all’esterno e provato a mezzo la registrazione all’anagrafe della convivenza.

Tra questi diritti si annoverano molti di quelli previsti per il coniuge: in caso di malattia o di ricovero ospedaliero di uno dei due, l’altro ha diritto di fargli visita, di assisterlo e di accedere alle sue informazioni personali; in caso di morte di uno dei due, cagionata dal fatto illecito di una terza persona, il convivente ha diritto al risarcimento del danno; il convivente ha diritto a rimanere nell’abitazione per un determinato periodo, ecc.

Il problema, tuttavia, si pone, per quelle coppie che abbiano deciso di non registrare la propria convivenza.

Come provare la convivenza ed avere una qualche tutela? È necessario il dato anagrafico della coabitazione nello stesso immobile?

Sul punto, ha avuto una certa risonanza la recente decisione della Corte Suprema di Cassazione (Cass. 9178/2018) con cui si è riconosciuto anche al compagno non coabitante il diritto risarcimento del danno per morte del partner dovuto a fatto illecito altrui.

E difatti, l’elemento formale e anagrafico, quale il “risiedere” in una stessa casa, è certamente indice della convivenza ma non è l’elemento essenziale e costitutivo del “legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale” (Cass. 9178/2018).

Pertanto anche chi non risiede anagraficamente nella stessa casa, purché sia legato affettivamente in modo stabile e duraturo, ha diritto di essere risarcito del danno subito per il fatto illecito altrui in caso di morte del compagno/a.

Non solo. La decisione degli Ermellini va colta in un ampio contesto caratterizzato dalla considerazione del dato formale anagrafico quale mero indice e non elemento costitutivo della convivenza e consolida l’orientamento seguito dalla giurisprudenza di merito (in tal senso, cfr. Tribunale di Milano sez. IX sent. 31 maggio 2016 “avendo la convivenza una natura “fattuale” e, cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo”)

D’altronde, sotto il profilo fiscale (quello per le detrazioni per interventi di ristrutturazione, n.d.r.), la stessa Agenzia delle Entrate con parere reso nella circolare n. 7/2018 ha ritenuto sufficiente, anche nel caso in cui la convivenza con il de cuius non risulti da alcun registro anagrafico, un’autocertificazione resa ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000.

Insomma, quello che conta è il legame affettivo e stabile tra i conviventi, non la “visibilità” esteriore del rapporto.