Dal Congo a Torino attraverso il deserto, l’incredibile STORIA di Ralia: “Non perdete mai la speranza” – VIDEO

Dal Congo a Torino attraverso il deserto, l’incredibile STORIA di Ralia: “Non perdete mai la speranza” – VIDEO

ITALIA – Una storia incredibile e particolare, fatta di coraggio, scelte, dedizione e perseveranza, che va assolutamente raccontata. A gran voce ma in punta di piedi. Ralia Lufuma, 22enne originaria della Repubblica Democratica del Congo, ha avuto una vita sicuramente complessa e altalenante, ma il bellissimo sorriso che la contraddistingue l’ha sempre accompagnata. Da 12 anni vive a Torino insieme alla sua famiglia, dove ha raggiunto, finalmente la serenità.

All’età di 4 anni sono dovuta andare via dal Congo con mia madre e mio padre per motivi politici. Mio nonno era un pastore della chiesa protestante, venne assassinato per essersi opposto al governo di Joseph Kabila, successore e figlio dell’ex presidente Laurent-Desiré Kabila. Dopo le varie minacce e l’assassinio di 6 miei zii, mia madre non si sentiva più al sicuro e fu così che decise di lasciare il Paese“, inizia così la chiacchierata esclusiva con Ralia.

L’inizio della ricerca della serenità

Avendo lasciato il paese clandestinamente e vista l’impossibilità di uno spostamento libero fra gli Stati Africani, ci rifugiammo prima a Cotonou (Benin), dove iniziammo a vivere una vera e propria condizione di povertà e miseria. Fu allora che mio padre decise di affidarsi in mano a dei trafficanti di esseri umani per tentare di raggiungere la Libia attraversando il deserto. Lasciò Cotonou per primo e non avemmo sue notizie per quasi un anno. Mia madre era disperata perché non avevamo una lira, dormivamo fuori e io non potevo frequentare la scuola, continua.

Poi la svolta: “Dopo quasi un anno di silenzio, arrivò la prima e-mail da parte di mio padre che ci informava della difficoltà che aveva riscontrato nel cammino. Quel racconto terrificante, però, non frenò mia mamma dal decidere di affrontare lo stesso percorso pur di non continuare a dormire per strada e tentare di darmi un futuro migliore“.

Dall’attraversamento del deserto all’arrivo in Libia

La strada ancora non era per nulla spianata per Ralia e la sua famiglia: “Iniziò dunque il nostro lungo viaggio verso una meta senza conoscere realmente a cosa stavamo andando incontro. Durante il percorso eravamo tutti ammassati come sardine, talvolta costretti a camminare a piedi per ore in modo da non destare sospetto delle guardie di frontiera. Me lo ricordo come un incubo, mangiavamo poco o niente, e quando succedeva dovevamo farlo di fretta; quando si sollevava la tempesta di sabbia, inevitabilmente mangiavamo anche quella. Nel cammino, chi non ce la faceva a procedere veniva abbandonato e seppellito nella sabbia ancora vivo. Rischiai anche di perdere mia mamma in quel cammino“.

Questa “impresa ardua fu l’evento, in assoluto, più difficile per la nostra intervistata che lo ricorda ancora con estremo dolore: “Il viaggio nel deserto fu il momento più brutto di tutti. Fu allora che conobbi veramente la cattiveria delle persone e vidi la gente essere ammazzata davanti ai miei occhi“.

L’arrivo in Libia fu considerato una sorta di miraggio, ma le cose non stavano per nulla così: “Quando approdammo finalmente in Libia ci sembrava un sogno, ma presto quella gioia si trasformò in disperazione. I miei capirono subito che non era un posto sicuro neanche quello. Gli arresti ripetuti di mio padre, la violenza contro le donne nelle strade, il bullismo inevitabile nei miei confronti furono sufficienti a farmi odiare quel paese“.

“Mio padre decise di giocare un’altra carta”

Degli amici di mio padre gli parlarono della possibilità di raggiungere l’Europa via mare, attraverso una grande nave da crociera. Lui decise di tentare anche quella carta, ma stavolta fummo noi ad andare per primi. Anche questa volta il viaggio fu un incubo, ci incontrammo con una tempesta allucinante che a momenti faceva ribaltare il piccolo gommone. Io ero terrorizzata, ero accovacciata e mi rifiutai di aprire gli occhi per tutto il tempo. Mia madre stringeva me e i miei fratellini“, aggiunge Ralia.

Arriva un barlume di speranza, la luce in fondo al tunnel: “Il salvataggio da parte della Guardia Costiera fu per noi un miracolo. Dal centro accoglienza di Lampedusa fummo trasferiti in un campo profughi a Borgo Mezzanone, dove iniziai a frequentare la scuola, imparai le prime parole italiane e iniziai a fare amicizia. Ricordo ancora che il primo giorno di scuola ero un po’ impaurita che i maestri potessero picchiarmi, poiché è il ricordo terribile che avevo della scuola araba“.

Qualcosa ancora, però, turbava la serenità: “Da Borgo Mezzanone ci mandarono in una casa famiglia a San Pietro Vernotico e poi da lì decidemmo di venire a Torino per cercare opportunità migliori, ma per l’ennesima volta fu un susseguirsi di esperienze spiacevoli: non trovammo subito una sistemazione, fummo cacciati dalla comunità, i miei persero il lavoro e fummo sfrattati dal piccolo monolocale che affittavamo“.

La laurea e il sogno di un’Italia più inclusiva

Successivamente, una vera e propria “corsa per sistemarsi al meglio, fino a riuscire a raggiungere e toccare con mano – almeno per un po’ – la felicità. Ecco che Ralia Lufuma, apprezzando giorno dopo giorno quello che aveva e imparando a non dare mai niente per scontato, riesce a continuare i suoi studi, fino alla laurea, conseguita di recente.

La laurea è stato un traguardo che ha significato molto per me, è stata una rivincita di tutto quello che avevo passato sia prima del mio arrivo in Italia sia nella vita che conduco qui. Nella mia tesi ho scelto di affrontare il tema del razzismo e della discriminazione perché io stessa ho subito tali episodi e non è stato bello, perché ho realizzato che anche dove pensavo di essere la benvenuta, in realtà, non sarò forse mai accettata per il colore della mia pelle e delle mie origini“, ci racconta.

Un bel messaggio che trapela e che è bene che arrivi ovunque: “Non voglio assolutamente abbattermi perché spero cambi la mentalità, spero che un giorno l’Italia possa essere un paese il più inclusivo possibile, che possa dare opportunità a chiunque di mettersi in gioco, senza guardare la religione, la razza, l’etnia, la provenienza o il colore della pelle“.

“I miei genitori? I miei eroi”

Avere accanto una famiglia che ti ama è sicuramente una delle ricchezze da non sottovalutare e la nostra intervistata lo sa bene, tanto che ha immensa riconoscenza verso i suoi genitori, i suoi pilastri: “La laurea è dedicata a mia mamma. Lei ha sempre creduto in me, non mi ha mai lasciata neanche un secondo… è il suo regalo da parte mia. Su questa scia, la colonna portante della mia vita è la mia famiglia, che mi ha spinto a non perdere mai la speranza, e Dio. Vedere come hanno sempre lottato per la loro vita e la mia ha fatto di loro i miei eroi“.

Il momento più bello della vita di Ralia corrisponde esattamente al ricongiungimento con il padre di cui, per tanto tempo, lei e sua madre avevano perso le notizie: “Quando vidi arrivare mio padre nello stesso campo profughi in cui eravamo fu, senza dubbio, il momento migliore della mia esistenza. Vidi la mia famiglia finalmente al completo… Non pensavo più a niente“.

Dopo un’esistenza segnata da eventi difficili da ricordare, il suo desiderio è quello di poter essere felice e sempre sorridente, accompagnata da una dolcezza e finezza d’animo che si percepisce a pieno: “Per il futuro spero di essere felice, avere un buon lavoro e dare il mio contributo al Paese che mi ha accolta, dandomi l’opportunità di vivere finalmente una vita normale“.

Il video-messaggio di Ralia Lufuma per NewSicilia

Infine, la nostra intervista a Ralia Lufuma si conclude con un video-messaggio esclusivo di incoraggiamento a non perdere mai, per nessuna ragione al mondo, la speranza, proprio come hanno fatto lei e la sua famiglia.

Un grande insegnamento proveniente da una grande donna, con la D maiuscola, che ha tanto ancora da dare al mondo e dalla quale si può soltanto imparare.

 

 

Fonte immagini: Instagram – Ralia Lufuma (@leahelah)