Aci Sant’Antonio, sequestrata casa di riposo degli orrori: anziani maltrattati e abbandonati, arrestato Marchese

Aci Sant’Antonio, sequestrata casa di riposo degli orrori: anziani maltrattati e abbandonati, arrestato Marchese

ACI SANTANTONIO – La Procura Distrettuale della Repubblica, nell’ambito degli sviluppi delle indagini concernenti i maltrattamenti degli anziani, ospiti della casa di riposoVilla San Camillo” con sede ad Aci Sant’Antonio (Catania), ha richiesto e ottenuto il sequestro preventivo della struttura e la misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di Giovanni Pietro Marchese, di 60 anni, amministratore unico della casa di riposo e già destinatario del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale per la durata di 12 mesi, eseguito dai carabinieri della Stazione di Aci Sant’Antonio.

Le indagini

Le indagini hanno consentito di accertare che il soggetto ha violato le prescrizioni impostegli dalla misura interdittiva notificatagli lo scorso 28 ottobre, continuando a dirigersi verso la casa di riposo, qualificandosi come direttore della struttura (tra l’altro, firmando in qualità di dirigente un comunicato pubblicato sulla pagina Facebook di Villa San Camillo in cui smentiva le notizie apparse sui media), nonché arrivando addirittura a disporre il trasferimento di un ospite in un’altra struttura e convocando uno dei parenti di un anziano, al fine di fargli rendere dichiarazioni favorevoli alla sua difesa, attestando che il padre non aveva mai subìto maltrattamenti o abbandono.

L’intervento dei parenti dei degenti

Fondamentale è stata la collaborazione di numerosi parenti dei degenti, i quali, a seguito della divulgazione a mezzo stampa delle notizie in cui si rendevano note le vicende dei maltrattamenti, si sono presentati alla Stazione carabinieri di Aci Sant’Antonio riferendo non solo in merito a diverse situazioni sospette accadute tempo prima (ad esempio: presenza di ematomi, puntini rossi sulla pelle, tumefazioni, fratture, sempre giustificati genericamente), ma anche in ordine al recente totale spregio della misura interdittiva da parte dell’uomo.

In particolare, alcuni degli anziani portati successivamente via dalla struttura e sottoposti a visite specialistiche, sono risultati affetti da scabbia o da dermatite eczematosa con forte prurito (probabilmente dovuta all’utilizzo di detergenti non consoni), presentando in un caso “graffi freschi, lividi e piccole ferite aperte“.

Lo scenario descritto agli inquirenti è stato raccapricciante.

Anziché essere accudito con amorevolezza, un degente ha riferito che in diverse occasioni le operatrici, dai modiaggressivi e nervosi“, avevano risposto alla sua richiesta di assistenza dopo alcune ore, lasciandolo in una umiliante condizione igienica e lavandolo talvolta con acqua fredda.

In un altro caso addirittura il 60enne, a seguito del peggioramento delle condizioni di salute di un’ospite affetta da Alzheimer, aveva sostituito d’iniziativa la prescritta terapia di carattere neurologico senza dire niente ai parenti e senza averne alcun titolo, in quanto medico generico.

Il sequestro preventivo della struttura è stato ritenuto pertanto necessario dall’autorità giudiziaria in vista del “rischio che potesse continuare a ospitare anziani e degenti in un ambiente assolutamente inidoneo, in deprecabili condizioni igienico-sanitarie, in assenza di assistenza medica e in un clima di vessazioni e gravi mortificazioni, con conseguenti sofferenze fisiche, psichiche e morali per gli anziani“.

Nello specifico, è stato tra l’altro constatato che la struttura aveva: superato il limite di capienza massima degli anziani (a fronte dei 24 previsti vi erano 30 degenti, 13 dei quali non autosufficienti); alle dipendenze due donne che, sebbene assunte con mansioni rispettivamente di addetta alle attività polivalenti e addetta alle pulizie, in realtà avevano anche contatti con gli anziani; solo sette dipendenti assunte con mansione di assistenza agli anziani, numero tale da non consentire il giusto e tempestivo sostegno degli ospiti ricoverati.

Tutti gli elementi sopra esposti, che hanno fatto emergere il pericolo non solo della reiterazione del reato, ma anche di inquinamento delle prove, hanno permesso di consolidare il quadro probatorio a carico di Giovanni Marchese e, così, di richiedere e ottenere la misura cautelare nei confronti dello stesso, nonché il sequestro preventivo della struttura, concessi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale etneo.

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